L’intenzione originaria della “Storie di note” era quella di un album dal vivo. E per i tanti fans di Pippo Pollina, accorsi in massa all’appuntamento del 4 settembre 2004 al teatro Masini di Faenza, “Bar Casablanca” avrebbe dovuto essere niente di meno di un evento, il modo più autentico di festeggiare il primo live della lunga carriera artistica del cantautore siciliano.
La qualità delle registrazioni della serata, e la loro resa al di sotto della sufficienza, hanno però costretto la label romana a ripiegare su di un disco in presa diretta. Con il risultato di un “semilive” acustico dal sapore artigianale, frutto di una serie di imprevisti della quale si sarebbe fatto volentieri a meno. Ma è poco probabile che i fans di cui sopra possano sentirsi delusi, e per un motivo semplicissimo: “Bar Casablanca” è senza dubbio il miglior lavoro di sempre firmato da Pippo Pollina, almeno per ciò che riguarda la sua produzione italiana. Non lo abbiamo mai sentito così brillante, così lontano da certe cupezze del passato. Sarà che per i quindici pezzi in scaletta, quasi tutti inediti (l’eccezione è “Versi per la libertà”, anche qualcosa era già stato provato nella scorsa tournee primaverile), non ha esitato a lasciarsi abbracciare da una band maiuscola, il cui ruolo fondamentale è stato quello di affiancare all’indole cantautorale del Nostro un’estetica jazz, spesso sconfinante nello swing. I nomi di Antonello Messina e Javier Girotto, numi tutelari di una band che in molti vorrebbero avere al proprio fianco, hanno dato quel valore aggiunto a un disco raffinato, quasi un concept-album basato su quei luoghi dell’anima da sempre al centro della produzione dell’ex Agricantus.
“Bar Casablanca” è un viaggio che parte dalla Scandinavia (l’iniziale “La luce di Norröra”, con benedizione di Ivano Fossati) e approda a Parigi (“L’organetto di Montmarte”), tocca il Canada (“La pioggia di Vancouver”) e il Sud America (“Bossa in viaggio”, “Il pianista di Montevideo”, “Nostalgia de tango”, in collaborazione con Claudia Crabuzza, voce dei Chichimeca), per poi tornare nel cuore della vecchia Europa (“Passaggio a Pècs”) e nella terra natia (“Chiaramonte Gulfi”). Viaggi che riservano incontri con personaggi speciali, raccontati con emozioni forti da una voce come al solito potente ed espressiva al tempo stesso. C’è sentimento e voglia di vivere, in “Bar Casablanca”, persino ironia (“La ballata della moda”, firmata Luigi Tenco) e voglia di sorprendere, come nella conclusiva “Semiseria proposta di un matrimonio”, unica traccia superstite del concerto di Faenza. E alla fine, sulla scorta di un bieco luogo comune, ci si convince che tutti i mali non vengono per nuocere.
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