Un “Intro” strumentale fatta di chitarre distorte fa entrare nei “Personal clichés” dei The Groots, band marchigiana al suo album d’esordio. Si può immaginare che tutto il disco continui sulla stessa scia, che sia il “solito” rock fatto bene, ma che ormai ha poco da dire. E in effetti il brano successivo, “Lies”, segue proprio quel percorso, ma il terzo (“Wet Parades”) apre a suoni più melodici e orecchiabili.
Il vero punto di forza dei The Groots rimane però la voce di Giorgia Di Feo, in bilico tra maturità e stile naïf, ricorda un po’ quella di Gwen Stefani ai tempi dei No Doubt, e dà originalità a ogni brano. In “Reunions” osa spingendosi più in alto e fa bene; in “The Quay” dirige l’andamento della musica, prendendola per mano.
I The Groots sono una band che si diverte a suonare, nata e cresciuta nella quotidianità delle prove e delle registrazioni, e la grezza ingenuità si sente sempre in sottofondo in ogni brano. “Wanderlust” è a mio avviso una delle migliori, dove la voce si tuffa in movimenti ossessivi e la musica la segue danzandole accanto precisa come un’ombra. “Kintsugi”, infine, chiude il disco al ritmo di una chitarra acustica e della voce che la domina, rallentando.
I difetti stanno forse nell’eccessiva ingenuità e immaturità che caratterizza ancora i The Groots, ma essendo un esordio è anche giusto che sia così. In effetti alla lunga i brani cominciano a somigliarsi troppo e a risultare un po’ ripetitivi, pur restando sempre suonati abbastanza bene. Manca ancora qualcosa per fare quel salto di qualità che aggiunga originalità e che renda i The Groots una band riconoscibile e fuori dal coro; manca un salto di qualità nei testi e nei temi, ancora troppo banali, ché va bene che sono condivisibili e universali, ma non devono scadere nel cliché. Insomma, questo deve essere solo un punto di partenza, da cui non si può far altro che migliorare.
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