Al primo ascolto del disco di Giorgio Poi ci si chiede da dove venga una voce così particolare: è metallica, quasi androgina, da cartone animato - come un bambino che si mette a parlare dentro un tubo o un bicchiere, a giocare con echi e vibrazioni. Dopo un po’ ci si accorge invece che questa sorta di autotune è del tutto naturale, e anzi è proprio una delle ragioni che lo rendono immediatamente riconoscibile.
A ben vedere, è proprio il concetto stesso di eco ad essere alla base delle canzoni di “Fa Niente”: sembrano tutte rimbombare di ricordi, sono costruite usando le vibrazioni dei giorni che passano. Giorni per niente straordinari: si canta di gesti quotidiani, senza avvenimenti particolari o degni di essere ricordati, e il risultato è che l’album sembra coperto da un velo di polvere, una malinconia rassegnata che non a caso inizia nel periodo più languido dell’anno, la fine dell’estate (“l’inverno fa paura, ci sbronziamo per mandare via l’abbronzatura”).
Traccia dopo traccia Giorgio Poi sembra riscaldarsi di un conforto domestico, fino a scivolare in una vasca piena di latte denso che restituisce un pop pacato e pastoso: c’è molto Battisti degli anni '70 (“L’abbronzatura”, "Acqua minerale"), un po’ di Rino Gaetano (“Niente di strano”), ma tutto filtrato attraverso i tessuti della psichedelia rilassata che abbiamo imparato ad amare con i Real Estate, Conan Mockasin o Mac DeMarco.
Alla fine, quello che rimane sono “chilometri di filo interverbale” usciti da una scrittura distesa e sicura, un pop rinfrescante che nonostante qualche inciampo riesce a regalarci alcune delle canzoni più belle dell'anno. Bravo.
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