Ci sono certi album di cui non puoi parlare male nemmeno se ti ci metti d'impegno. Non perché siano dei capolavori epocali, o perché qualcuno o qualcosa ti costringa a non dire niente di negativo. No, ci sono dischi di cui non si può proprio parlare male perché sono dischi che sono pieni di vero impegno e di onestà e di buone intenzioni e di reale voglia di non allinearsi a nessuna moda.
Quindi, come potresti mai parlare male di un primo album come questo di Lorenzo Giannì, che è giovane, suona di tutto (chitarra, basso, mellotron, organo, synth), cita fra i suoi modelli musicali tanto roba attuale come i The Last Shadow Puppets quanto riferimenti non esattamente di tendenza come i Genesis, e poi la musica brasiliana e, fra gli italiani, Tenco, Banco del Mutuo Soccorso, Samuele Bersani, Lucio Dalla e il Battisti di “Anima latina”, e fra quelli letterari Pavese, Pasolini, Cavalcanti, Tolstoj?
Certo, potresti, se da tutto questo dispiego di cultura, versatilità e ambizioni fosse venuto fuori un lavoro brutto, eccessivo, pasticciato, pesante. Ma per fortuna non è così, e dal martellante synth-pop psichedelico della title track all'arpeggiata e sognante “Neve inverno”, dalla prog-wave di “Il ladro semplice” ai languori eighties-latinoamericani di “Tabucchi e tabaccherie”, dalla doppietta più pop “Marta”-“Disperata vitalità” alla chiusa strumentale ambient cinematica di “Never Cared ‘bout John”, “Gramigna” si fa ascoltare, suonando classico e moderno (questo anche per merito di una voce molto contemporanea), e promettente.
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