I Fast Animals and Slow Kids firmano il disco dell'intimità e delle risposte, senza rinunciare alla potenza che ce li ha fatti amare sin dagli esordi
Quando parliamo dei Fast Animals And Slow Kids lo facciamo consapevoli del fatto che non siamo più di fronte a nessuna rivelazione, ma di fronte una band ormai consolidata e affermata nel nostro panorama musicale. Questi ragazzi si sono guadagnati un seguito incredibile negli ultimi anni e con pieno merito. Per questo motivo non ci sorprendono più, ci regalano soltanto una perla dopo l'altra di cui non resta che tesserne l'elogio.
"Forse non è la felicità" è il quarto capitolo in studio in appena sei anni, un risultato incredibile se pensiamo alla qualità di quello che è stato prodotto finora. Infatti, se "Hybris" li aveva lanciati come una vera e propria bomba sul circuito indipendente e "Alaska" aveva già l'odore di pietra miliare, questo nuovo lavoro ampia gli orizzonti a tal punto che potrebbe segnare una svolta decisiva per la loro carriera.
Il punto di forza di "Alaska" erano le chitarre che spaccavano i muri, le sonorità compatte e potentissime che arrivavano dritte in faccia; in "Forse non è la felicità" tutto questo c'è ancora, ma i pezzi non sfondano, entrano direttamente dentro l'anima e mandano tutto in subbuglio.
Sarebbe scontato parlare della tristezza contenuta nella meravigliosa e struggente "Annabelle", di quel momento in cui parte la frase da cantare a squarciagola: "Io provo tutto e fa male davvero, ogni tuo movimento, ogni pensiero". I Fask hanno sempre avuto quella vena malinconica e triste, che si mascherava bene con la loro attitudine e con i poghi violenti nei live. In questo nuovo disco la band perugina ha messo un'intimità che mai si era vista prima. Emergono paesaggi diversi, frutto della consapevolezza e della crescita che deriva dalle esperienze personali. C'è la voglia di ricostruire dalle macerie, un'insolita fiducia nei confronti di se stessi e dell'umanità.
I Fask sono davvero cresciuti quando in "Asteroide", con il suo inizio soft e lunare che ormai sembra un marchio di fabbrica, cantano "Guarda tutto intorno come sta cambiando, allacciati le scarpe che c'è da camminare, che tanto l'hai capito che il tempo è sempre uguale, gli amici come l'acqua, prosciugano col sole".
Sono lontanissimi gli "Aiuto" de "Il mare davanti" o l'autolesionismo di "Come reagire al presente", quando dalla chiusura di "Giorni di gloria" emerge la frase "Come per gioco svanirà quel vuoto che scuote la sua età". La nuova speranza dei Fask è tutta in "Fiumi di corpi" e nel suo messaggio ("Amore mio, ascoltami, so come uscire da qui, ti tiro fuori da qui. Non vedi cosa ci aspetta? Abbiamo ancora una scelta, ascoltami, lo so che c'è").
L'apice del disco è però quel momento in cui il passato, il presente e il futuro della band si intrecciano a creare il brano migliore del lotto, "Montana". La tristezza riemerge prepotente e consapevole, attraverso la voglia di reagire ("Se il terremoto arriva / Ricorderai la stanza? / Sia vuota che vissuta / La chiameresti casa? Dipingeremo a nuovo / Lucideremo il tutto / Sarà come se il tempo / Non sia mai stato qua"), di sfidare il presente e la stabilità, di capire se stessi.
Tra gli undici brani di questo disco c'è anche spazio per i riffoni vecchia maniera di "Capire un errore" e per il ritmo trascinante e orecchiabilissimo di "Ignoranza", tra le poche parentesi davvero movimentate dell'intero lotto.
I toni tornano ad essere più cupi e drammatici in "11 Giugno", una lettera rabbiosa narrata su una melodia soft, dove tornano i temi classici e le atmosfere di sempre ("11 giugno, è il tuo compleanno, non vedi cosa c'è intorno a te? Se questa è una festa evviva la vita, mi ammazzo con te. Ma in fondo odi tutti, in fondo li odi per davvero").
La chiusura è affidata a "Giovane" e alla title track. La prima sintetizza praticamente tutto l'album: energia, melodia, frasi che restano dentro e che andrebbero cantate fino a farsi esplodere il cuore ("E non cambierò per te, io non cambierò per te, non capivo niente, quanto cazzo ero giovane"). La seconda è già un instant classic del repertorio della band, ritornello in chiusura che non ti esce dalla testa e chitarre che graffiano, feriscono, fanno malissimo.
"Forse non è la felicità" sconvolge e commuove per la sua bellezza, per la sua maturità. Un tessuto sonoro e testuale che può essere il viaggio interiore di ognuno di noi, il sangue delle nostre ferite, le cicatrici visibili o invisibili che ci portiamo dietro. È la via d'uscita, l'ancora di salvezza a cui aggrapparsi per guardare una nuova alba senza che emergano con essa i vecchi rimpianti ("Ho ancora la tua lingua incastrata fra i miei denti...Forse non è la felicità ciò che voglio, ma un percorso per raggiungerla").
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La recensione Forse non è la felicità di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-02-13 00:00:00
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