Dall’ultima chiacchierata con noi, i Carenne avevano anticipato il successivo lavoro; tra una parola e l’altra ci avevano parlato di un album in lavorazione ancora non pienamente strutturato, ma con testi, melodie e armonie già definite. Avevamo compreso che i ragazzi, prima di entrare in studio, avessero già in mente quel che avrebbero voluto dire nel nuovo disco. Quel disco è "Coriandoli", un carnevale di giorni incattiviti dai tempi meschini che viviamo, come la festa che segue la beffa, tra note elettroniche, funky-rock, punk.
La voglia di insinuare parole e provocare cortocircuiti di idee, sembra essere la tendenza ribadita nell’album; scuotere l’immobilismo sociale ed emozionale (“L’uomo che cammina”), dar linfa all’aridità di vite meccaniche e frenetiche (“La quercia”) sembra essere l’invito della band. Anche il corpo è un deserto da percorrere (“Le gambe belle”) e che sbroglia tutta la sua energia solo in una notte d’estate (“La notte di San Giovanni”) quando scorge la luna dal mare che inghiotte l’angoscia diventando libertà (“Il nome di Saffo”). Quella libertà che manca a chi è ingabbiato in una prigione di falsi miti e credenze mendaci. Fino all’epilogo che lascia in apnea per tredici lunghissimi minuti scacciando insetti fastidiosi dagli occhi ripuliti dal pianto. Dunque un lavoro di osservazione sulla realtà per aprire gli occhi su un mondo nuovo.
La bestia Carenne è di nuovo in giro e avvista prede da cacciare, quelle che la ingabbiano entro logiche di mercato, teleschermi senza proposte, metraggi di ipocrisie e false verità. Noi la seguiamo a distanza per individuarne il percorso, osservando quali tracce lasceranno canzoni che vuotano il sacco sulla realtà.
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