Gattinara-Londra andata e ritorno: "Lo stupido che canta" de Il dEli
Roberto Deliperi, classe 1976, in arte Il dEli, esce con il suo primo album da solista, "Lo stupido che canta". Fin dal primo ascolto, l'album si mostra disorganico: le tracce del disco formano un arcipelago nel quale ogni canzone parla una lingua differente dalle altre. Questo di per sé non è una nota negativa, tuttavia ascoltando l'album per intero si ha la stessa sensazione che si prova nel cambiare continuamente frequenza alla radio. La conseguenza è uno spaesamento continuo per l'ascoltatore.
Seguiamo traccia per traccia il disco. L'inizio con "Viaggio sulla terra" è marchiato dalla timbrica dei synth, usati col tentativo di riprodurre un'idea di viaggio spaziale già ampiamente ascoltato negli anni '70 britannici. Con "Stefania", invece, cambiamo nazione, ma non decade, e improvvisamente siamo alla Roma del Folkstudio e della RCA. Evidente l'influenza di De Gregori (il De Gregori di "Pablo") e di Ivan Graziani - soprattutto nella modulazione della voce. Dopo l'episodio dance di "Crash" (un po' troppo Prince, un po' troppo alcune soluzioni del Battisti dopo Mogol), arriviamo a "Lo stupido che canta", di sicuro una delle tracce migliori dell'album («Ora sto qui, in silenzio chino, come solo un bambino sa fare. / Ascoltare il rumore del mondo, tocco un poco quel fondo e ritorno su. / Sfioro con la voce alcune note a caso e recupero / un soffio di fiducia, un poco più di audacia»). Da questa traccia piovosa si passa a "London Sun", canzone che ci fa sapere che a Il dEli piace anche il reggae. Tuttavia il tentativo appare forzato e non spontaneo: non basta infatti un tempo in levare, un hammond, un coretto, la parola sun nel titolo della canzone, per fare reggae. La successiva "Le frasi rubate" fa emergere la bravura interpretativa e vocale de Il dEli se finalmente liberata da arrangiamenti eccessivi (come per esempio in "Blues d'amore"). Le percussioni e la linea di basso di "Billy Bob" riesce a risvegliare l'ascoltatore, ed è un bene. "Una meta non ho" è una canzone che avrebbe qualcosa di più da dare se non fosse penalizzata dall'arrangiamento e dalla post-produzione (missaggio e mastering): risulta infatti troppo appiattita a scelte stilistiche anni '80. "Interludio" è uno strumentale di cui è difficile capire il senso. Dopo una nuova "Viaggio nella terra" c'è una bonus track: "Una sera". Benché l'intro sia decisamente troppo simile a "La gatta" di Gino Paoli, questa è la migliore canzone del disco, e questo perché il sound scelto sembra essere quello che valorizza di più le qualità de Il dEli.
Per quanto riguarda i testi, qui arriva la nota dolente. I testi purtroppo non colpiscono, non incidono. A tratti sono anche testi anonimi. Non è facile capire di cosa parla l'album, e non è proprio una nota positiva. Ovviamente dispiace molto scrivere cose di questo tipo perché sull'impegno e la bravura de Il dEli non ci sono dubbi, come non ci sono dubbi sulla sua sincera intenzione di fare un buon disco, tentando di arrivare a più persone possibile. Ed è proprio per questa evidente buona fede che non possiamo che esprimere un giudizio sull'album non del tutto positivo. La speranza è che Il dEli capisca (e accetti) quale arrangiamento musicale sia il più appropriato alla sua voce e alle sue qualità artistiche. Scrivere canzoni è difficilissimo e si impara lentamente, e a volte non si impara mai.
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La recensione Lo stupido che canta di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-04-18 00:00:00
COMMENTI (1)
Grazie Francesco.
il dEli :D