Come dirottare, con invidiabile mestiere, il rock neopsichedelico degli esordi verso il più digeribile revivalismo new wave degli ultimi 15 anni.
Il sacrosanto “Each end carries a new start” attraverso il quale i Sonic Jesus sintetizzano sommariamente il concetto portante del loro nuovo album richiama fulmineamente alla mente quel “An End Has a Start” di editorsiana memoria che qui sembra insinuarsi caparbiamente anche tra le sue increspature sonore, quantomeno in termini di suoni e atmosfere. Insomma, voltare una pagina per riempirne un’altra – sia artisticamente che umanamente – questo l’ambizioso scopo di “Grace”, opera seconda per la band laziale (dopo il doppio LP di debutto “Neither Virtue Nor Anger”) che anche a questo giro si affida alle premure dell’etichetta londinese Fuzz Club (Singapore Sling, Goat, Dead Skeletons vi dicono qualcosa?).
Il cambio di rotta, nella fattispecie, si concretizza in una riduzione ai minimi termini delle frequenze neopsichedeliche degli esordi a vantaggio di una ritrovata sensibilità pop che feudalizza quasi completamente le trame notturne e marmoree del loro rock, spudoratamente dirottato sul filone revivalistico new wave degli ultimi 15 anni: Editors, Interpol e White Lies i nomi candidamente evocati dalle 11 tracce in scaletta e chiamati a benedire quel collaudato canovaccio fatto di metronomie post-punk sulle 4 corde (che in “Funeral Party” danno il meglio di sé), affilate chitarre blu cobalto, synth gelidi e nostalgici e una portentosa carica di decadentismo metropolitano, peraltro graficamente anticipato dal minimalismo urbanistico evocato dalla stessa copertina.
Il finale vaporoso dell’opener “I’m grace”, modellato su quello di “Smokers outside the hospital doors”, l’intreccio di tenebre e bagliori della torbida “No way”, lo spleen curiano di “Space heels”, l'anthemico dipanarsi di “Outdoor”, che tanto ricorda la pioggia purificatrice della mitica “Heaven” degli Psychedelic Furs o le fregole radiofoniche di “I hope”, che cavalca le medesime suggestioni dei White Lies, stanno lì a testimoniare l’invidiabile mestiere del gruppo pontino nel maneggiare materiale altrui (fin quasi a migliorarlo in alcuni frangenti) nonché un gran bel tiro che lascia presagire grandi cose dal vivo.
Magari, proprio a voler cercare il pelo nell’uovo, una produzione artistica un po’ più ruvida e spregiudicata avrebbe potuto mimetizzare ancor meglio tutto il citazionismo profuso a piene mani dal nostro Gesù Sonico e trasformare provvidenzialmente “Grace” nel bel disco impattante che i gruppi sopra citati non sono stati più in grado di registrare negli ultimi anni.
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La recensione Grace di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-04-03 00:00:00
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