Un ep non memorabile per originalità, ma apprezzabile per l'onestà e la credibilità
È da quella stessa scuola di provenienza soul blues prestato al rock inglese, che s’ispira l’omonimo ep dei 12 Bars Blues Revolution. Lontano dall’essere un lavoro innovativo, il disco della band palermitana, sfoggia tuttavia una spiccata dote vocale, estremamente convincente come fulcro centrale del progetto. Puntualmente “How Does it End?”, canzone northern soul dall’intro western, prende vita difatti dal cantato, intento a trascinare la traccia d'apertura così come l'intero ep, trasformando una canzone da semplice compitino, a piacevole brano di rythm and blues.
Stessa sorte tocca a “Scatterbrained”, che rivanga ancora di più l'attitudine del frontman siciliano con le voci soul, prima con Burdon degli Animals e dopo col graffiato più aggressivo di Dixgård dei Mando Diao attualizzando il sound di stampo indie british.
“Pistol Burnt”, stabile sulla pentatonica, colpisce meno come pezzo in sé, a favore di un inaspettato senso di libertà e psichedelia grazie prevalentemente alla spregiudicata schitarrata hendrixiana ripulita dagli effetti acidi e barocchi del tempo.
Non rimane molto altro nelle declinazioni successive di “Breeze” e “Cold Floor”, sovrastate ancora una volta dal vigore timbrico vocale, parzialmente oscurato nell'ultimo brano dal solo di chitarra in pieno stile classic rock. L’ep dei 12BBR non sarà del tutto memorabile per l'originalità, ma rimane pur sempre apprezzabile per l’onestà e la credibilità d’esecuzione proposta, dove perfino la batteria ferma nel tempo, in omaggio alle rullate degli anni ’60, sopravvive nella poca coralità del gruppo, più concentrato a sbrigare partiture strumentali di soul rock non sempre così efficaci dall'uscire dall'alone di brani di maniera.
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La recensione 12 Bars Blues Revolution di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-05-08 00:00:00
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