Un buon album di alternative rock in italiano
Cieli grigi, lande desolate, pali telegrafici e casupole.
È la copertina di "Soli", il secondo lavoro autoprodotto della band aretina A pezzi e, al tempo stesso, potrebbe anche essere la perfetta rappresentazione visiva dell'album, che, come scrivono Enrico Zoi, Stefano Albiani e Francesco Rubechini nella loro biografia collettiva, racconta "storie, vite, strade e coscienze che vanno a pezzi. Per ricomporsi e reinterpretarsi".
Ed è questo, in effetti, il filo conduttore di “Soli”, che percorre un sentiero musicale, quello dell'alternative rock italiano.
Le undici tracce dell'album non offrono novità o sperimentazioni particolarmente sorprendenti, muovendosi piuttosto nel solco tracciato dai più noti interpreti del genere. Risuonano gli Afterhours e il Teatro degli Orrori, i Subsonica e i Management del dolore post-operatorio.
Questo non significa, tuttavia, che “Soli” non abbia molte cose da dire, per i suoi testi e la sua musica. Anzi.
Negli arrangiamenti, infatti, funziona alla perfezione il dialogo fra la base ruvida e inquieta scandita da basso e batteria e la linea melodica, più avvolgente, orecchiabile, a tratti perfino leggera, affidata prevalentemente alla chitarra.
Proprio il basso, new entry nella band, fa per altro la differenza in molti brani, con sonorità e ritmi che danno un "di più" di energia e originalità all'intero disco.
Il resto è un riuscito racconto di solitudini, nichilismo tagliente da provincia degli anni zero, disperante (o consolante?) malinconia. Fatto di parole scelte con cura, non scontate, che danno corpo alle tracce più riuscite (“Minerale”, “Le Alpi”) e alla perfetta conclusione del disco: “Portami a dormire / portami al centro del buio / dentro la verità”.
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La recensione Soli di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-07-10 00:00:00
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