La via del folk nostrano si chiama da sempre Modena City Ramblers
Si è sempre molto esigenti con i più grandi artisti, perché aver rappresentato un modello di riferimento nel tempo è conferma di talento e non solo di fortuna. Raggiunta la notorietà confezionando album più col cuore che per logiche di mercato, si perdura in grandezza quando quel talento è ancora in grado di incantare. Così ragionando, ci si trova tra le mani l’ultimo disco dei Modena City Ramblers. Lo si guarda, lo si ascolta e ci si chiede se suoni oggi con la stessa forza dei venti anni o se sia un revival del tempo che fu(mmo). Al massimo con una considerazione in più: ancora ribelle o alla fine convenzionale? “Mani come rami, ai piedi radici” è, a tutti gli effetti, l’album che rilancia il suono di una band che ha congiunto nel tempo una serie di combat-folk-rockers dal cervello sempre acceso su storie di libertà e impegno civile. Raccontandosi di nuovo senza alcun problema di stile – perché uno stile c’è già ed è il loro, da sempre – i Modena City Ramblers si fanno testimoni volontari di un passato straordinariamente moderno che diventa show di strappi sonori e abbandoni melodici, divertimento e riflessione. E con la partecipazione dei Calexico a gettare sbuffate mariachi tra le righe di “My ghost town”, ci accorgiamo che la musica vera non si abbandona mai.
“Tri bicer ed grapa”, colto dall’affanno dei nostri tempi, brinda con gusto agli umori di musicisti che si sfogano, giocano e si divertono; “Grande fiume” è un dolce abbandono dentro alla corrente di un’acqua che si purifica mentre raggiunge il mare, flusso di vita autentica; “El senor T-Rex”, in spagnolo, è un divertissement musicale per iniziare a ballare e scoprire il lato più facile del mondo. Il tutto con quel look zingaresco che è colonna sonora di una festa mobile a ritmo di sonorità balcaniche e fanfare. “Welcome to Tirana”, “Sogneremo pecore elettriche” mettono in pista un linguaggio cosmopolita fatto di arrangiamenti dal folclore furente; i Calexico omaggiano la traccia centrale dell’album con quel gusto di terra e di polvere che li rende aspri e calienti. Così, con le palme da una parte e le montagne dall’altra, in rotta verso sud, si raggiunge il Messico sbronzi di malinconica energia. “Mani in tasca, rami nel bosco”, “A un passo verso il cielo”, “Volare controvento” abbandonano il deserto e penetrano tra la vegetazione di una natura esposta a tempestose eruzioni e ai più sottili pensieri, dove angoli di suono ci avvolgono di ansia comunicativa.
Gli eroi di un tempo sono più energici che mai e se all’ascolto l’atmosfera di una volta non dovesse ricrearsi, be', pazienza. Alzate il volume. Ma come fate a non sentirli ancora irresistibilmente veri?
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La recensione Mani come rami, ai piedi radici di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-06-13 00:00:00
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