Dopo tanta attesa arriva “Fuorimoda”, un insieme di istantanee in bianco e nero, storie fantasiose ed inconsuete, tutte da ascoltare.
Si è fatta attendere tanto, Elisa Genghini, dopo il suo promettente disco “Catturarti è inutile” (2013). L’attesa però, si sa, accresce il desiderio e le aspettative. Poi finalmente arriva “Fuorimoda”, un percorso interiore dove c’è tutta l’intimità, la sensibilità e la storia della Genghini, ci sono inseguimenti e ritorni (“Sebastian”), c’è tanta ironia nel parlare d’amore e di soggetti inconsueti (“I meccanici”, “Il paletto dell’amicizia”, “Vaffanvalzer”), nel parlare delle donne e dell’identificazione di sé negli altri e viceversa, ché tutti siamo “uno, nessuno e centomila” contemporaneamente (“Ilaria”, “L’altra donna”), ci sono storie e vite originali (“Signorina Mocio”).
Come nel disco precedente, i testi sono il centro intorno a cui ruota tutto. La musica, a maggioranza acustica, ne è il contorno. La capacità di scrittura della Genghini è sorprendente e seducente.
“Ilaria” è l’elogio rivolto a tutte le donne “fuorimoda”, ché tutte le storie meritano di essere raccontate, perché Ilaria è “una e trina, forse troppo umana, forse divina”, ma “le storie son del mondo, risuonano nel mondo per sempre” e lì “siamo tutte insieme”; così come “L’altra donna” è “quella che ha paura di me […], quella che viene a letto con me […], quella che temo ora sia con te […], quella che è sempre meglio di me”, ma sono sempre io, è solo l’altra parte di me.
“Sebastian” è una storia di inseguimenti e ritorni, è una notte passata insieme prima di tornare alla banale routine come se niente fosse. Sono io che al mattino riparto con lo zaino in spalla, perché “se il giorno prima è rigoglioso di una notte intera, il giorno dopo è desertificato da parole” e me ne torno a casa pensando un po’ a te.
Il sagace sguardo ironico sull’amore crea altri due piccoli capolavori, “Il paletto dell’amicizia” e “I meccanici”: la prima è l’emancipazione da un amore finito e appena iniziato cercando timide e poco credibili scuse, ma il modo di raccontarlo è originale e divertente; la seconda è ancora più sottile e affascinante, ché l’idea dei meccanici come metafora di persone semplici e genuine, attaccate fermamente alla realtà, poco inclini ad elucubrazioni e fantasie, è semplicemente geniale, perché “i meccanici non comprano candele che prendono polvere sui mobili, tra un libro di Proust e uno di Céline che non hanno mai letto, per incantare le fanciulle”. E evviva la semplicità, ché troppo spesso per fare colpo si finge di essere altro da sé, e quindi “caro meccanico, vorresti sposarmi?” e pure se non vuoi, “almeno fammi un bel tagliando”!
“Signorina Mocio” è la storia fantasiosa nata dall’immaginazione di una bimba che vede in un Mocio Vileda una “principessa con la testa capovolta”; “Vaffanvalzer” un valzer autobiografico che esorcizza il rimpianto, perché “se scelgo una vita scarto infinite vite meno una e delle altre buttate non vorrei rimpiangerne nessuno”, ma “voglio esser contenta di questo qui ed ora e ridere, che non ci perdo niente”.
Allora tutti i brani di “Fuorimoda” sono piccoli frammenti di Elisa Genghini, che si manifestano attraverso storie arricchite di acuta fantasia, storie ispirate da genitori e parenti, storie scattate come foto in bianco e nero e ormai “fuorimoda”, ma ancora così tanto presenti dentro, che sono dovute uscire fuori.
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La recensione Fuorimoda di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-06-05 00:00:00
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