In un mondo complicato e faticoso, le canzoni pop non sono mai abbastanza. I Frost ne sono così convinti da riempirci un disco intero. Sospinti dal rimpianto di non essere nati nella terra dei Beatles, cercano di recuperare la mancata appartenenza all'Inghilterra, rovesciando nel loro esordio un amore totale per il versante più elettronico del brit-pop.
Giunti alla prima produzione con Ondanomala dopo aver sbaragliato la concorrenza delle altre band di Arezzowave 2004, dimostrano una sensibilità sublime nel trattare la materia melodica. Furbi e smaliziati, si muovono con aria impunita, mescolando strumentazioni classiche a montagne di sampler ed effetti. Completamente folgorati dai Blur di "Girls and Boys", si lanciano in straripanti "papapapapa", architettando coretti infiniti e filastrocche appiccicose. Talvolta troppo borghesi nell'approccio alla faccenda, rivelano una rara capacità di costruire ambienti elettronici allegri e sconclusionati. Forti di una produzione importante e talvolta ridondante, risultano insopportabli quando si intestardiscono alla ricerca del pop a tutti i costi, ma anche strepitosi quando azzeccano il ritornello. Particolarmente convincenti nei momenti in cui la giocosità si mischia ad un'intensità indie-rock, è probabile che nei loro scaffali appaiano i dischi di Pixies (per l'intensità) e Pavement (per l'aria ciondolante), ma è sempre la totale devozione a Coxon e Albarn a muovere ogni passo del disco. Purtroppo il disastroso inglese compromette una parte degli sforzi, così come certe spocchiose scelte manieristiche riducono la loro personalità. Le idee ci sono, l'intuito anche. La continuità proprio no. Questo disco poteva essere davvero bello, ma riesce ad esserlo solo a tratti. Resta l'impressione di un gruppo con la faccia tosta per fare cose importanti. Oggi ancora incompiuti, ma meritano un ascolto, specialmente se avete voglia di organizzare una festa.
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