Se siete nella cerchia degli “amici elettrici” di Gary Numan, “The Familiar Stranger” di Udde è un’ottima scusa per portare gli orologi indietro di trent’anni e crogiolarsi nell’elettronica anni ’80. Fortunatamente, l’esordio in lp del producer sardo non sa di sterile ricostruzione dei tempi che furono, quanto più di ritorno al futuro.
Tra sciabolate di synth e batterie rigorosamente campionate, ci si ritrova di fatto incastrati in una darkwave che fa i conti con la sfida degli anni Dieci: saper essere sfacciatamente pop, nel senso migliore del termine, senza scadere. “A Familiar Stranger” ci riesce: le strofe di “The Bridge Carousel” sanno essere orecchiabili e solenni così come il ritornello di “One Heaven” esplode (e poi implode) quasi di sorpresa, confermandosi il momento più catchy del disco.
Allo stesso tempo, l’artista di Sassari non perde occasione di affogare con gusto il suo synth-pop in atmosfere decisamente più pesanti. Ce lo ricorda l’industrial di “Facelift” e, soprattutto, la voce grave dello stesso Udde, in bilico tra Fancesco Bianconi (“Wait”) e un Jarvis Cocker particolarmente incupito (“Gloomy Friday”).
In sostanza, l’esordio in full-lenght di Udde val bene un ascolto dall’inizio alla fine. Con fine, tra l’altro, si intende proprio l’ultimo secondo del disco, dal momento che gli sgoccioli di “Supermarket” trasformano per un paio di secondi una delle tracce dell’album (“Tough Girl”) in un motivetto in pieno stile “Sounds For Supermarket”.
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