L’ho messo da parte per una settimana, dopo ripetuti ascolti iniziali che non riuscivo a interrompere, con una serie di ‘play’ ripetuti per riassaporare - ogni singola volta - ogni singola canzone. Pensavo che tanto potesse bastare per scriverne in maniera distaccata di questi 11 brani, e invece mi ritrovo a cantare tutti i ritornelli in testa come un bambino che ha appena imparato a pedalare.
Eppure avevo già avuto modo di ascoltare qualcosa in anteprima - per decine di volte! - grazie ai demo che dopo l’uscita di “Faccio tutto domani” (ep del 1999) mi erano stati recapitati dal gruppo. Nel frattempo mi chiedevo anche cosa aspettasse la discografia italiana a licenziare un gruppo (e un disco) del genere, finché i ragazzi de L’amico immaginario non hanno deciso di investire su di loro. Ecco quindi quest’opera prima sulla lunga distanza, con una manciata di canzoni che stupiscono e al contempo entusiasmano. Come mai tanto ardore vi chiederete voi? Semplicemente perché ci troviamo di fronte ad un progetto credibile sotto ogni punto di vista, sia che si voglia concentrare l’attenzione sulle liriche piuttosto che sulla musica.
Qui veramente tutto funziona alla perfezione e avrei tanto voluto trovare punti deboli, ma ad un gruppo che ti infila quel poker iniziale (“Adesso è limpido, “La distanza”, “Niente mi ricorda di te” e “Come ogni sera”) quale pretesto escogiti per imbastire una critica? Non che il resto sfiguri (anzi!), ma finirei a scrivere fiumi di parole. Preferiasco piuttosto concentrarmi sugli altri dettagli che fanno di questo album un capolavoro; ad esempio gli arrangiamenti orchestrali da antologia di Fabio De Min (Non Voglio Che Clara), che ti incollano alle casse dello stereo, l’interpretazione vocale di Paolo Beraldo, capace di cogliere le sfumature emozionali di ogni episodio (a seconda che si tratti di toni drammatici piuttosto che da ballata). Oppure le linee di basso di Federica Colella, quantomai incisive nel definire i contorni ritmici (come già in passato, tra l’altro), o ancora le chitarre di Alessandro Ceron, artefice di azzeccate dinamiche sonore, a coniugare la tradizione melodica italiana con quella d’OltreManica. Ma oltre a ciò la cosa che più colpisce è la semplicità di queste canzoni, questo loro essere “acqua e sapone” - e proprio per questo belle, semplicemente belle.
Spendere altre parole non è più necessario per un disco che ha già dimostrato il suo valore a chi lo ha ascoltato. Qui c’è da immergersi col cuore e goderne fino allo sfinimento…
P.S. Vediamo un po’ se fra le giurie dei vari premi e premietti dedicati alla canzone d’autore italiana, qualcuno avrà orecchie per queste canzoni…
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