Inverno sono io, inverno manda indietro un cuore nel freddo e spera che non muoia.
L’inverno è uno stato mentale più che uno stato d’animo. Inverno è tempo di attesa, di suoni ovattati inclini al silenzio, stagione dell’arte serena. E non ne abbiate a male se per una volta mettiamo in mezzo Stéphane Mallarmé.
Marta Collica è arrivata all’appuntamento con il suo terzo album solista sfruttando un paio di incontri. Quello con il musicista/compositore australiano Cam Butler, con il quale ha più di una volta diviso il palco, poi ci ha pensato il produttore Brio Taliaferro a mettere insieme i pezzi. Da lì è stato un susseguirsi di serate passate in sala di registrazione, di sperimentazioni e di estrema spontaneità. Che si sono concretizzate in un secondo momento, tra Parigi, Catania e Melbourne, raccogliendo i contributi di vecchi amici, come gli immancabili Hugo Race (l’altra metà dei Sepiatone), John Parish e Giovanni Ferrario.
“Inverno” è nato così, assemblando umori, tempeste e raggi di sole, notti insonni tappezzate di felicità. Oltre a drumming, slide, lamiere, fiati, chitarre lievi e a volte un po’ nervose, tensioni elettro-acustiche figlie di arrangiamenti stratificati e complessi. Con una voce eterea e nitida a imporre l’equilibrio. Un equilibrio retto da canzoni a tratti cupe (l’opener “Clandestine”), spesso ipnotiche (“Will we know more”, per esempio), ricche di pathos (“She travels fastest”), soffici quanto nuvole nere pronte a stagliarsi nell’orizzonte (“Stay in wonder”).
Marta si muove con delicatezza e profondità, il suo è un atteggiamento interiore, quasi spirituale. Mai fragile. Il suono di “Inverno” possiede il dono di viaggiare sfruttando traiettorie altre, più movimentate e vivaci. Ne sanno qualcosa i riff di “In this town”, che avrebbero potuto appartenere al repertorio di Lou Reed, il contagioso andamento pop di “La fine dei segreti”, mentre “Vero come te” esibisce venature quasi jazzy e “Day off” è una scheggia che sarebbe stata applaudita con convinzione dalle parti di Abbey Road. La dimostrazione di come Marta Collica non abbia avuto timore di muoversi tra i meandri della stagione dell’arte serena, da quell’inverno fonte di ispirazione primaria, grazie al quale è nato un disco di una bellezza commovente.
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