“Perché esistono la musica jass e di conseguenza le jass band? È lo stesso che chiedersi il perché dei romanzi tascabili o della gomma da masticare. Sono tutte manifestazioni di cattivo gusto, un gusto che non è ancora stato depurato dalla civiltà”.
Esordiva così un giornalista che volle restare anonimo in un famoso articolo comparso sul “Times” di New Orleans il 20 giugno del 1918. Lo scritto, una fervente difesa dei valori morali dalla White America, continuava poi tuonando che “la musica jass è la storia sincopata e contrappuntata dell'impudicizia” e concludeva che fosse quindi necessario debellare “queste sconcezze nell'ambito di un consorzio civile”.
Cent’anni dopo, lungi dall’essere state prosciugate, queste acque fangose sono ancora la fonte ideale alla quale si recano ad abbeverarsi artisti da tutto il mondo, tra i quali i fiorentini Gutbuckets, duo composto da Mario Evangelista e Antonio Speciale.
Cresciuti e tutt’ora attivi entrambi nell’underground musicale italiano con diverse formazioni, con questo progetto approfondiscono il folclore roots americano, in particolar modo lo stile che i musicologi definiscono pre-War blues, quello dei primi decenni del '900.
Dopo il buon esordio del 2014 all’insegna del country blues, in questo secondo lavoro la loro ricerca stilistica ed estetica si immerge ancora più nelle frattaglie della musica nera e creola americana, precisamente nel jazz delle origini, nel dixieland e nel ragtime.
“Gasfire Rag” è un lavoro curato e rifinito con tensione filologica e passione divulgativa, sia nei brani reinterpretati che in quelli autografi, tutti del medesimo livello qualitativo.
L’ascolto colpisce, infatti, non solo nell’esecuzione e nella scelta stessa di alcuni classici misconosciuti –tra cui quella “Weed Smoker’s Dream” pubblicata per la prima volta nel 1936 dagli Harlem Hamfats, “You May Leave” della Memphis Jug Band datata 1930 o la ballata appalachiana di retaggio irlandese “Rose Connolly”- ma anche, soprattutto direi, per lo studio accurato delle tecniche vocali e l’attenzione al dettaglio nella strumentazione dell’epoca: chitarra acustica, slide, kazoo, banjo, mandolino, dobro, stompbox, tutti patrimonio della tradizione povera proto-jazz, e l’uso stesso della voce dialogano nei diversi pezzi riproponendo e rinnovando le atmosfere ed i suoni delle vecchie scricchiolanti gommalacche.
Un disco ispirato, profondo e sentito da parte del duo toscano, frutto evidente di anni di dedizione ed applicazione alla materia trattata, che, vecchia di un secolo ma eterna come il pulsare del ritmo, fa suonare ancora fresca e divertente.
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