Le amnesie elettroniche nell'hard core di "Rabid Dogs"
Come d’antitesi alle consuete digressioni melodiche dei Placebo, l’hardcore dei Monsieur Gustavo Biscotti si fa largo con “Louis’ Wine”, che se da una parte rifiuta lo stile post-punk della band di Brian Molko, dall’altra ne riconosce la medesima matrice di alienazione urbana.
Meno aggressivo rispetto alle apparenze, a determinare il carattere punk dell’album "Rabid Dogs", c'è soprattutto la ruvidità della produzione che rende il disco particolarmente espressivo e diretto. La voce non così versatile, ricorda a tratti invece la sfrontatezza di Keith Flint, capace di trascinare il disco sulle note di “First Time Shadows”, canzone manifesto di questo lavoro. Prosegue sulla stessa scia “Twenty Tunnel”, che nonostante una certa ridondanza, mette ancora più in evidenza un sound secco, quasi asettico, specie nelle ritmiche, dove se non per alcune venature elettroniche, le influenze rock rave di Prodigy e Grand Theft Audio privati di quelle stesse tendenze hooligans della scena londinese, precludono volutamente nuovi orizzonti creativi.
Soltanto la chiusura di “Johnny Glamour” restituisce all’album un pezzo meno lineare del solito ma sempre d'impatto grazie alla scarica di chitarra nello special, che sfrecciando come al solito a velocità massima, si insinua nel contrappunto del riff, chiudendo l'album nel migliore dei modi. Un disco che si trascina come pecca maggiore una precaria brillantezza dei suoni stessi, penalizzati da un uso piuttosto laterale dell'elettronica, che sarebbe stata utile come elemento di traino per rendere complessivamente più incisivo "Rabid Dogs".
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La recensione Rabid Dogs di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-06-28 00:00:00
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