“Okland” è il significato da dare alla trip-hop quando è immersa in dei connotati stilistici tuttora indefinibili.
Perché chiamarsi come una famosa città Californiana e poi toglierne una lettera? Perché dileguarsi da una bolla d’acqua se già si indossa un costume? Come mai creare un ep trip-hop se poi usi spesso dei synth dance? Ed allora come mai il carro del Dio Màni, che dovrebbe trasportare per l’eternità la Luna, si è ritrovato presso la stella delle Pleiadi chiamata Celeno?
Il problema è che la musica elettronica e tutto ciò che le ruota attorno è come un’immersione, un “Dive” per intenderla come gli Okland. Ascoltandola o suonandola ci si può calare nello spazio, nella mitologia oppure nella geografia trasfigurata, dove cioè, le città metropolitane come Oakland possono facilmente cambiare nome. È questa immersione che fa nascere canzoni in questo ep in cui il trip-hop perde il suo storico contatto con le voci black ma acquista più forza nella sua vena più incupita e scura oppure la dubstep, rallentata più che mai all’inverosimile nei ritmi, si ricopre di tastiere ascetiche.
“Okland”, oltre ad essere il primo ep degli omonimi torinesi, è anche il loro policromo e mescolato biglietto da visita. Ancora acerbo nella definizione e nella descrizione dei propri connotati stilistici ma già ben corposo di esercizi di generi anche se in sole quattro canzoni.
Sembrerebbe come quando qualcosa di nuovo nasce: a Bristol si partì nel produrre house più psichedelia per finire poi nel creare il trip-hop. O in parallelo, prima s’indossa un costume da bagno e poi si conclude nel decidere di voler fuggire dall’acqua. Troppo presto per definire gli Okland con certezza.
Sicuramente, il proseguo delle loro storie ancora solo accennate saranno suonate nella prossima uscita della band torinese: musica elettronica che giungerà dritta nel bel mezzo delle Pleiadi, trasportata dalla Luna.
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La recensione OKLAND di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-07-04 00:00:00
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