KatrineHash
Rosae 2016 - Trip-Hop, Elettronica, Dark

Rosae

Un album che si muove tra dark e trip hop offrendo, nonostante qualche limite, spunti interessanti

Le atmosfere dei Katrine Hash sono sorelle del buio, sodali del dark declinato tra lampi di goth e sortite elettroniche di synth ammaliatori. L’equilbrio di “Rosae” poggia proprio sull’uso alternato di dilatazioni scure e intermezzi sintetici, con l’intervento di tre differenti voci femminili a cesellare i brani, in una sorta di trip hop decadente che affonda spesso le radici negli anni ottanta: tra cupe ballate introspettive come “Desire”, “The Losers” e “Rainbow” e innesti di beat energici che aprono a mood dove sembra entrare più luce (gli ammiccamenti soul di“Painful” o l’asciuttezza british a metà strada tra Portishead e Radiohead di “Voice”), la band insegue un obiettivo che pare spezzarsi in molteplici traguardi, non tutti esattamente a fuoco.

Le trame sonore sanno farsi ora sinfoniche, ora prede di antichi slanci new wave, o ancora colonna sonora di amori esclusivamente notturni, per un risultato che non brilla per omogeneità ma presenta diversi spunti interessanti, soprattutto quando si cerca di uscire dagli stereotipi di matrice dark per addentrarsi in altri generi. La chiusura di “Steel” è certamente evocativa ma racchiude tutto quello che andrebbe messo da parte per non essere una band confondibile e vacuamente derivativa: l’eccessiva enfasi nella voce, un background eighties troppo evidente e un passo a volte pesante, che andrebbe alleggerito e reso più personale.

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