Interessante prova d’esordio di Fabio Mancini, giovanissimo (ha appena ventiquattro anni) bluesman e songwriter romano che pubblica l’ep “From another city”,cinque canzoni per poco meno di venti minuti di ascolto.
Il lavoro appare convincente sotto più profili e le atmosfere che in esso sono contenute sembrano a tratti provenire dal più profondo del delta del Mississippi: blues tradizionale e blues urbano, infatti, soul e perfino il jazz stanno alla base della musica che riempie il disco; le varie componenti sonore, peraltro, si rincorrono spesso e capita che anche all’interno di uno stesso brano ognuna di esse infranga continuamente i confini che separano l’uno dall’altro i diversi stili musicali.
Nel DNA di Fabio, oltre all’opera dei musicisti che da sempre reggono il pilastro portante della black music d’oltreoceano (da tale fonte di ispirazione il musicista laziale sembra aver perfettamente assimilato la lezione del blues e certe finezze compositive ed esecutive), anche, almeno in apparenza, alcuni dei mostri sacri del soul blues italiano il compianto Roberto Ciotti.
Tra i solchi di “From another city” suggestioni soul raffinatissime si alternano a squarci ben suonati di blues rurale o elettrico, mentre il jazz riaffiora senza sosta qua e là conferendo all’ep quella credibilità che di solito i dischi italiani di medesimo genere solitamente non mostrano di avere.
Tra i diversi brani, “Under your skin” è un soul-jazz orecchiabile e caldo con strepitose parti soliste affidate al sax, mentre “Sadness blues” appare immerso nelle atmosfere dei blues più tradizionali, con armonica a bocca, chitarre e godibili reminiscenze di canto claptoniano in primo piano. Gli altri pezzi di questo buon lavoro si muovono sulla falsariga dei precedenti, senza sbavature e senza perdere una battuta. Colpisce d’altro canto anche la semplicità e allo stesso tempo l’efficacia degli arrangiamenti senza fronzoli supportati da una strumentazione non particolarmente ricca. Disco consigliato agli amanti della black music e a tutti coloro che nutrono dubbi circa la capacità dei musicisti di casa nostra di proporre una varietà musicale che è tipica della tradizione musicale USA.
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