Senza Kraftwerk, Moroder e Daft Punk difficilmente questi ragazzi avrebbero anche solo sfiorato i tasti di una qualsivoglia diavoleria elettronica.
Nei Frank Sinutre c’è quel non so che di genuinamente pioneristico (e retrofuturistico) che ti li fa prendere fin da subito in simpatia, ti piaccia o meno la musica che producono. Già soltanto per quel loro integralismo do it yourself che precede il loro fare musica in senso stretto: tipo l’autocostruirsi da soli gli strumenti elettronici (quali il ReactaBox, un controller midi dotato di webcam a infrarossi, o la DrummaBox, una drum machine acustica che utilizza la nota piattaforma hardware Arduino) da affiancare a quelli tradizionali.
Un’elettronica kraftwerkiana contaminata – quella del duo mantovano formato da Isi Pavanelli e Michele K. Menghinez – che si divide tra compiutezza comunicativa (sì, insomma, brani melodicamente più standardizzati) e puro didascalismo sonoro (brani pensati come supporto di installazioni audiovisive o reading letterari).
E così ci si ritrova a rimbalzare dai funkettini robotici, vagamente daftpunkiani, di “Urban park – Sleeping Lovers” e “Be All You Can Be” a quello più classicamente moroderiano di “Sunset With Sunrise”, dalle movenze feline e notturne di “Driving Thru A City By Night” e “What a Strange Life” – più atmosferiche e patinate – agli Offlaga Disco Pax che si affacciano prepotentemente nel recitativo di “Credeva di volare”; o ancora dal Brian Eno contemplativo che aleggia timidamente sui sei minuti abbondanti di “Under That Wind” all’antitetico country rock spaziale de “La Forma Del Sol”, passando da “Challenger 1986”, radiofonicamente vicina a certe cose dei MARRS, e da quella "But The Boy Believed To Fly" che tanto ricorda le comparsate più concilianti degli Underworld. Fino alla lunghissima suite di congedo (16 minuti!) che riprende la intro d’apertura per ricodificarla su ben più stranianti frequenze glitch-ambientali.
Alla fine l’impressione generale è quella che senza le personcine succitate difficilmente questi due ragazzi avrebbero anche soltanto sfiorato i tasti di una qualsivoglia diavoleria elettronica. Ma il fatto stesso che ciò sia accaduto non può che rallegrarci la giornata.
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La recensione The Boy Who Believed He Could Fly di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-10-16 00:00:00
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