La sottile linea rossa dei ricordi per vincere la solitudine è il tema di un album teatrale che parla di amore e morte
Sembra difficile riuscire a dare tensione ad un lungo dialogo tra due anime perdute e distruttive, come se fossero ancora l’una di fronte all’altra ad affrontarsi, in cerca di pace. Immaginate allora di aprire un libro noir dove tutti sono falsi e perversi, imprecatori affranti alla ricerca di chissà quale verità. Pensate ad un film ambientato a Parigi che indaga sul mistero della natura umana: i due amanti finiscono per spogliarsi sempre in stanze squallide, dove consumare amplessi tristi. La solitudine li divora e, quando si trovano per l’ultima volta di fronte, si raccontano la stessa storia di perdita e occasioni mancate. Potremmo dire che il disco di oggi è quasi a metà tra un libro e un film con una vicenda in cui perdersi: quella di chi medita sulla vita, quando colpisce con ferocia e uccide. Nulla di allegro, beninteso. Piuttosto una ricostruzione cupa dove il jazz, il progressive e il cantautorato fanno da sfondo.
“Un’operazione dell’anima, quando intensa, ne impedisce un’altra”: due anime che si incontrano possono toccare le stelle o diventare morbosamente vittime di se stesse, fino a quando la vendetta e il senso di colpa daranno voce ad uno spietato “Dialogo al buio”. Su tutto, il rapporto tra i sessi prende il sopravvento. L’amore è impossibile e vietato – come in ogni tragedia – e la violenza psicologica devasta (“Anasyrma; “Ritratto di una suicida”). Eppure bisogna vivere per decidere e, al suono di un piano, la porta si apre e aspetta che qualcuno entri ad affrontare i fantasmi del passato (“Un’operazione dell’anima”; “Tra di noi”): siamo tutti diversi, tasselli di un mondo distante che non disdegna di dar voce alla nostra fragilità (“Exagérés”; “I vestiti, via!”). Ma al cospetto di Dio non c’è scampo per nessuno (“55 parole”) perché l’amore è intrappolato tra le maglie di un universo crudele (“Contronatura”; “Plenilunio”) dove tutti hanno un buon motivo per morire (“Mille anime”) e per essere felici (“L’assoluzione dell’asfalto”; “La lettera di Greta”). “Tu terrai in vita il mondo al posto mio. Hai indossato il passato perché potessi indossarlo davanti a me”: alla fine le due anime si dicono addio, dopo una battaglia fallimentare per essere puri.
L’album è contemporaneo e retrò al tempo stesso perché parla del presente attraverso il passato, e lo fa in modo freddo, profondo. L’eterno scambio tra le due facce dell’amore rappresenta la duplicità dell’umana essenza. Vi chiederete cosa c’entri la musica in tutto questo. Tutto e niente. Tutto, perché solo la musica è capace di descrivere la natura dei sentimenti più strampalati e imperfetti; niente, perché più che un album potremmo intenderlo come un lunghissimo testo scritto per il teatro.
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La recensione Niagara Rendez-Vous di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-01-11 00:00:00
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