Un po’ glam, un po’ Brit-pop dal sound solare e deciso, anni ‘90. Stile definito.
Un po’ glam, un po’ Brit-pop dal sound solare e deciso, anni ‘90. Stile definito, direi. Di quelli che forse tenderanno, col tempo, a cambiare di non molto, pur maturando. E poi un certo amore per il grunge più che per il post-rock, inteso come appiglio alla forma-canzone rivisitata da onde ribelli, sospese e distorte. Ma del grunge non raccolgono mai l’urlo sofferto e primitivo. Mai la posa decadente o l’alternanza forte-piano-forte. I Blue Peaches, in questo Ep, difficilmente fanno esplodere le corde vocali di quella voce che mi ha vagamente ricordato, in certe inflessioni, Brian Molko.
Non cercano il wall of sound, quella sovrapposizione di sonorità alla Phil Spector che devasta fragorosa, seppur abilmente controllata. Ad un tratto, traccia due, fa anche capolino un giro di chitarra alla Goo Goo Dolls.
E’ come se trasudassero i loro amori musicali, che sembrano molti e variegati, amori assorbiti nel tempo fino al punto di trasformarli in carne, pelle, ossa ed anima. Ma senza farne tributo: non scopiazzano. Piuttosto mescolano, rielaborano, si fermano a pensare, cercando la loro personale linea sonora.
Restano soft e melodici, diretti nello sforzo di comunicare in modo non banale. Il suono solleva sereno, senza volersi mai complicare. E’ difficile spogliarsi dal “rumore” grunge senza cadere nel troppo sentito, ed a tal proposito i Blue Peaches lo fanno bene in “Smoke”, brano che preferisco agli altri, in cui la corposità della lunga intro strumentale introduce la voce, tenuta al tono che più le si addice, quello intermedio che non sforza (ed in questo riconosco coerenza e non la presunzione di spingersi dove la resa sarebbe più sgradevole).
Cantano in inglese e confesso che avrei una certa curiosità nel sentirli cimentare, in futuro e semmai, anche con testi pensati in italiano. La musicalità delle due lingue, si sa, è molto diversa. Certamente l’inglese consente, secondo alcuni, di superare confini geografici. In realtà la musica s’incatena ad altro, quando tocca il profondo. Credo che la scelta dei Blue Peaches sia dettata non dall’idea di una maggiore riconoscibilità generale, ma semplicemente e proprio dalle sonorità. Eppure la struttura dei loro brani e le capacità compositive consentirebbero, secondo me, di sostenere bene anche liriche in lingua madre. Vedremo. Intanto, le note vagano ancora e regalano quella freschezza che fa sempre piacere trovare. Ai prossimi morsi di pesca. Blu.
---
La recensione ep di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-04-08 00:00:00
COMMENTI