Ghali Amdouni, milanese di Baggio di origine tunisina, sta cambiando le regole del gioco. A partire dal 2015 ha fatto tutto “in casa” senza etichette discografiche, insieme a un ristretto team di cui dobbiamo citare almeno il produttore Charlie Charles e il giovanissimo regista Alessandro Murdaca, autore dei primi video. Video di singoli come “Cazzo mene”, “Sempre me” o “Marijuana” che, pubblicati esclusivamente su YouTube, hanno cominciato a macinare milioni di views. Da lì in poi ogni mossa è stata studiata attentamente, dal punto di vista strategico e da quello estetico, che si trattasse di nuovi video, collaborazioni, copertine, esclusive. E il successo non ha fatto che aumentare: prima con “Dende", poi con “Wily Wily" che ci ha fatto vedere centinaia di ragazzini italiani cantare a squarciagola un ritornello in arabo, e infine con “Ninna Nanna” e l’approdo per la prima volta su Spotify, dove registra il maggiore numero di ascolti di sempre in Italia per una canzone al suo primo giorno.
Nel frattempo (tutti sotto il nome "Sto") nascono una linea di abbigliamento, un’etichetta discografica e un canale YouTube che produce contenuti video originali dedicati alla nuova scena del rap italiano. A questo punto Ghali, senza una major alle spalle, passa su Radio Deejay (quando ci va ospite per la prima volta, i fan riempiono via Massena come ai tempi dei Duran Duran) ed è apparso su tutti i giornali: è il nome pronto a esplodere, la next big thing, quello che tutti aspettano al varco, quello destinato al successo vero. È rispettato e considerato anche da quelli che avevano trattato il progetto di cui aveva fatto parte da ragazzino (Troupe D’Elite, sotto il marchio Tanta Roba) come uno fra i più scarsi dell’epoca. Si è conquistato la credibilità da solo e in un modo diverso da quello a cui si era abituati, ha fatto una grossa gavetta e ha imparato il mestiere di pop star ridefinendolo a modo suo, alle sue condizioni. Senza avere mai pubblicato un album, fino a questo punto.
Ora l’album è arrivato, anticipato da una precisissima creazione dell’hype fatta di annunci centellinati, singoli, video, trailer, interviste, e ascolti per i giornalisti super-blindati. Già dalla copertina Ghali paga pegno al suo ispiratore numero uno, a quello che sembra essere in assoluto il suo primo nome di riferimento: Michael Jackson (la copertina ricorda infatti da vicino l’idea di quella di "Michael", album postumo uscito nel 2010). E se l’artista americano era noto in tutto l’universo con il titolo di “king of pop”, è sicuramente quella la strada che prende anche Ghali con questo album. Sembra infatti che più che quello di diventare il nuovo Gué Pequeno, Marracash o Fibra, l’obiettivo sia quello di diventare il prossimo Jovanotti. Oltre a Michael Jackson, nei testi vengono citati esplicitamente i nomi dei due Justin (Bieber e Timberlake), vicini al rap ma indiscutibilmente popstar.
Ghali, a partire anche dall’assenza di featuring, non sembra neanche più voler troppo fare parte della scena rap attuale - quella di amici come Izi, Sfera, Tedua - e volersi invece misurare in un altro campionato. Il disco si apre con quella “Ninna Nanna” che già conoscevamo e ha segnato un passaggio (quello tra l’essere uno “che fa la trap” all’essere un cantante), e prosegue con “Ricchi Dentro”, brano un po’ sulla stessa linea (come anche più avanti la già nota “Pizza Kebab”). La successiva è “Habibi”, che con i suoi clap e il basso slappato tipo sigla di Seinfeld invece rappresenta un po’ l’altra atmosfera dell’album: quella estremamente ballabile del singolo di lancio “Happy Days", che ritroviamo poi anche in “Vida" (e in parte in “Liberté"), i brani che hanno fatto sì che molti stiano citando come riferimento anche il nome di Stromae, e sicuramente i pezzi più estivi. Vengono poi “Lacrime”, il momento più scuro del disco e forse anche il più suggestivo, e un altro brano cruciale: “Milano”, che riprende in parte la “vecchissima” (anche se sono passati solo due anni) “Come Milano”, è un incrocio tra il ritmo di “Passionfruit” di Drake e un’atmosfera più cantautorale nella melodia vocale, che può fare pensare a un Calcutta. “Ora d’aria” è il pezzo più incazzato e impegnativo del disco, sia nelle tematiche trattate che nella produzione, e sembra volerci ricordare che Ghali non è soltanto pop. C’è anche spazio per un brano, “Boulevard”, che è quello che più sembra rimandare al passato e ai primi singoli. In chiusura troviamo “Oggi no”, brano quasi instant, che parla di quello che sta succedendo esattamente nel momento in cui lo stiamo ascoltando, e che ha l’arrangiamento più “oscenamente pop” del disco (per dirlo con le parole dei Baustelle), per il quale alcuni hanno tirato fuori il paragone con Fedez.
Ghali non è il primo artista che da territori più underground tenta un passaggio di questo tipo, e se in Inghilterra uno Stormzy è passato dal grime più duro dei singoli a un album sorprendentemente molto cantato, un altro paragone può essere assolutamente quello con The Weeknd, che da una trilogia di r'n'b oscurissimo è passato poi a un’altra traiettoria, segnata da singoli dance scala-classifiche come “Can’t Feel My Face”.
Si può preferire il Ghali più ignorante e trappone di “Sempre Me”, ma gli va dato atto di avere tentato un’altra strada. E di averlo fatto con un album solido, che funziona, cresce con gli ascolti, e che sembra destinato al successo. Vedremo come andranno le cose, ma quello che per il momento è già certo è che Ghali Amdouni sta cambiando il pop italiano. È il benvenuto.
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