“Visions Of The Age To Come” è una grande lezione di psichedelia rock e non, oltre che l’ennesima conferma dell’ottima salute della scena psichedelica italiana
La capacità peculiare della musica psichedelica, rispetto ad altri generi più o meno legati al qui o all’ora, è quella di trasportare l’ascoltatore in un altrove lontano nel tempo o nello spazio, un “lontano” spesso privo di coordinate precise che, in fondo, è solo un luogo della mente che può essere riempito e abitato dalle più varie sensazioni o stati d’animo. Forse un album legato a questa vasta famiglia di generi e sonorità andrebbe giudicato, almeno prima facie, solo da questo, dalla capacità di trasportare in questo altrove.
“Visions Of The Age to Come” non si fa pregare: lo stesso titolo, affermando la natura profetica del disco, è una dichiarazione di intenti in questo senso. E poi è “Hermes Dance” a trascinarti via, al suono cupo e ritmato di tamburi su un tappeto montante di sintetizzatori. È il suono dei tamburi da guerra di una tribù dell’Africa nera, di un rito voodoo, di una cerimonia misterica nell’Europa ellenistica, oppure della ritmica di un live degli Einstürzende Neubauten nella Berlino degli anni ‘80? Impossibile dirlo, né importante saperlo; il senso dell’immaginario psichedelico, soprattutto per come si è dato negli ultimi anni in Italia, è tutto qui, in un mescolarsi continuo di riferimenti culturali lontani e lontanissimi.
La seconda traccia, “Revelations” (nomen omen), ci svela in una sequela epica di voci lontane, soli di chitarra e tastiera, anche tutto un altro mondo e un’altra direzione di viaggio, un viaggio che è prima di tutto una montagna russa attraverso quasi mezzo secolo di musica psichedelica. A orientare le dinamiche dei pezzi, ora nel ruolo di protagonista, ora più defilato, rimane il krautrock geometrico alla Neu! e l’incedere rituale che, nel 2013, aveva fatto di “White Sun Black Sun” uno dei punti più luminosi di quella variegata galassia che all’epoca iniziava ad andare sotto il nome di Italian Occult Psychedelia; ma le radici qui affondano molto più saldamente nel rock psichedelico più pesante. Niente Grateful Dead o revival alla Tame Impala. In “Visions Of The Age to Come” ci sono i muri di suono effettati figli dei precursori Hawkwind e dello sperimentalismo dei Can, ma anche assoli e armonie di chitarra che rimandano a Tony Iommi e jam quasi stoner.
Sporadiche apparizioni di voci spettrali e arpeggi di tastiere ‘60-’70 spuntano fra i droni e le sequenze elettroniche a dare tocchi dal sapore del prog più pesante, Uriah Heep o giù di lì, in pezzi con strutture complesse e dinamiche intense.
Per dare conto della quantità di sfaccettature del lessico psych di queste otto densissime tracce probabilmente servirebbe qualcosa come un track by track; ma sarebbe una violenza privare l’ascoltatore del piacere di perdersi nel flusso e sorprendersi con gli infiniti riferimenti e i rimandi ai vari dialetti in cui nelle decadi si è declinato il genere.
Soprattutto, si rischierebbe di ridurre tutto al gioco delle citazioni e delle influenze (che sicuramente vanno oltre la conoscenza di chi scrive o dell’ascoltatore medio) e di incasellare l’album alla categoria “nostalgia fatta bene”, senza riuscire a comunicarne la freschezza e la peculiare dimensione in equilibrio fra suono ancestrale e contemporaneo. Peculiarità che si esprime soprattutto in una cura del suono assolutamente sopra le righe, lontana da ogni velleità vintage: bordate di suono che appartengono più alla grammatica industrial che a quella del rock psichedelico, pulsazioni basse che attaccano quasi la sfera tattile più che quella uditiva e un complesso ordito di suoni che va dalla chitarra wah al glitch elettronico, passando per assoli di percussioni a metà fra il tribale e il free jazz; basta questo a spazzare via ogni sospetto di nostalgismo rock e a mettere la ciliegina sulla torta di un lavoro che, se risulta meno compatto ed affilato del precedente “White Sun Black Sun”, punta al rialzo e stravince in un tripudio di sfumature e paesaggi sonori surreali.
Con “Visions Of The Age To Come” gli In Zaire ci confermano non solo che quello psichedelico è uno dei filoni più fruttuosi della musica underground italiana, ma anche che la musica pesante in questo paese, nonostante un momento di forte flessione, è ancora (e forse in misura relativamente maggiore rispetto a prima) capace di esprimere lavori freschi e originali pur nel rispetto di codici sonori familiari.
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La recensione Visions of the Age to Come di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-06-05 00:00:00
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