I rocker sono una razza particolare. Qualsiasi cosa facciano, i veri rocker amano le cose dirette. Se leggono un’intervista si immaginano che ci sia un omino con un registratore lì in stanza con l’artista, non concepiscono che magari domande e risposte siano state spedite via posta elettronica in due momenti diversi. I rocker sono per la riduzione al minimo dei passaggi, dei media.
Le Jains sono un duo che fa rock con batteria e chitarra come i White Stripes. La loro rassegna stampa le definisce “Distorsione e sensualità, Istinto e dissonanza”.
La sensualità c’è in effetti, assicurata dalla formazione 100% femminile e dalla presenza di una delle sex symbol televisive degli ultimi anni, la Kris Reichert di Kris & Kris. No, non erano i ragazzini del rap primi ’90 e nemmeno i reggiseno senza ferretto. Ci siete ? Individuate ? Perfetto, quella più gnocca delle due.
Messo su il disco sento il distorsore sulla chitarra e pure sulla batteria. Ok, anche la distorsione c’è. Non che ci voglia molto, basta un pedalino. Mi soffermo un attimo sulla parola dissonanza. Apro la mia copia del manuale di armonia di Schoenberg, dovevo studiarlo a fondo, ma poi l’ho lasciato un po’ lì a prendere polvere. Magari un giorno lo riprenderò sul serio.
Leggiucchiando riscopro vecchi concetti: la scomposizione di un suono nei suoi armonici, la consonanza di un intervallo, data dalla risonanza dei primi armonici…. Ecco, finalmente viene citata la dissonanza come risonanza degli armonici più lontani dalla tonica. La cosa si fa interessante Finalmente roba diversa dai soliti passaggi 2-5-1.
Ascolto il primo brano delle Jains: “Fixation”. La voce canta l’intera prima strofa sulla fondamentale dell’accordo tenuto dalla chitarra. E con questo intendo che non fa note diverse dalla fondamentale. Non mi pare una dissonanza. E neppure una melodia.
Continuo la rassegna stampa poco convinto, se c’è una cosa che non sopporto è chi usa le parole a sproposito solo per dare l’impressione di sapercela. Certe volte mi sto anche sulle palle da solo per lo stesso motivo.
Leggo una descrizione dell’album traccia per traccia. E’ lunga ben 7 righe di A4. 7 righe che non dicono assolutamente nulla, se non che “He comes, he knows” è ispirata al povero Jeff Buckley. Riporterei il testo integralmente solo per far capire a chi legge che non è stato un eccesso di autostima da parte mia il fatto di aver esclamato: “Ma chi è che le scrive ‘ste cazzate?”.
Intanto, dopo la prima traccia arriva “Stronger”. Pure qui nessuna traccia di dissonanze, a parte il fatto che la Kris è capace di azzeccare una nota sola. Ma in questo caso gli altri toni non sono dissonanti, son stonati. E’ diverso. Inizo a non star più dentro alla mia sedia, sento il bisogno di cambiare CD, ma alla fine ascolto e riascolto “Kill the ghost”. Voglio trovare qualcosa di buono. Sarò io a non aver colto. DEVO aver sbagliato approccio. Poi desisto e metto su il buon vecchio Manitoba. Non vorrei esser cattivo con il duo, se fosse un demo a questo punto mi impegnerei a cercare dei punti di vista sotto cui lo si possa apprezzare. In effetti l’istintività è la qualità più manifesta in tutto l’LP e ad un certo audience basterebbe per gradire.
Questo però non è un demo, dei soldi son stati investiti per produrre e pubblicizzare il prodotto e sebbene io sia un accanito sostenitore della libertà di espressione, non riesco a vederne il motivo. Si possono eliminare tutti i mezzi che si vuole, sintetizzare l’espressività più viscerale, ma qui la questione è una sola e nasce nella notte dei tempi. Esiste qualcosa che tira più di un carro di buoi.
Come ultima nota, forse l’unica traccia che riesce a trasmettere qualcosa è la ghost track. Un pezzo country, forse una cover, forse no. Non lo so. E non mi interessa.
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La recensione Kill the ghost di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-03-21 00:00:00
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