Dopo gli anni con Franco Ricciadi, Ivan Granatino ricomincia da tre con un buon album, che si muove fra rap, trap, ritmi latini e canzone napoletana.
Ivan Granatino è uno dei rappresentanti più attuali e significativi dell’”anomalia Napoli” in campo musicale, di quell’istinto autarchico che spinge la città di Carosone, Merola, Daniele e Almamegretta a costruire un proprio cosmo di riferimenti musicali distinto dagli altri, con cui in realtà pure comunica, parlando il linguaggio della contaminazione. Non si tratta, se non in minima parte, di chiusura o rigetto per quello che viene dall’esterno, ma di una genuina necessità di declinare diversamente i vari linguaggi musicali, come fanno i dialetti.
In questo universo, florido sul fronte delle varie sottoculture musicali, quello di cui spesso si è sentita la mancanza è una forma di pop contemporaneo credibile. A cercare la via partenopea al pop degli anni dieci ci sta provando a modo suo Liberato, ma già da un po’ lo sta facendo la coppia Franco Ricciardi-Ivan Granatino. Ivan ha due album alle spalle, abbastanza riusciti (ne è uscito, ad esempio, un pezzo fondamentale della colonna sonora di Gomorra, "A storia e’Maria") ma acerbi; adesso ricomincia da tre, separandosi dal maestro’Ricciardi (uscito anche lui di recente con "Blu", il primo album da parecchi anni a questa parte che lo vede come protagonista assoluto) e provando a trovare da solo la strada per la propria maturità artistica.
Lo fa in un album abbondante, diciassette tracce di pop elettronico che viaggia a cavallo di ottime produzioni tra rap, ritmi latini e reggaton, r&b, edm, accenni di electro rock e raggae, dosi significative di trap. Il tutto filtrato e amalgamato nella sensibilità musicale, lirica ed estetica partenopea: c’è un modo di raccontare alcuni temi, in primis l’amore, che è un retaggio tutto locale; c’è il racconto di una Napoli orgogliosa e caparbia ("Napule allucca", anche il nome della nuova etichetta di Ivan, che licenzia questo album); c’è la lingua partenopea in molti brani (ma non tutti, scelta quasi coraggiosa, di questi tempi).
Com’è inevitabile per uno come Ivan, che prima di scoprire il rap si è avvicinato al canto con i classici napoletani, spesso c’è anche quell’inclinazione melodica così tipica della canzone napoletana, che è facile associare al cantato neomelodico. Il mondo dietro la parola neomelodico è stato demonizzato per anni senza operare nessun tipo di distinzione, poi rivalutato in chiave trash o apprezzato in versione edulcorata, sicuramente mai compreso come la forma di musica popolare che è. Album come "Ingranaggi" possono essere la chiave per superare i preconcetti e avvicinarsi in maniera sensata a questa parte non trascurabile della produzione musicale campana. E lo sono perché non si pongono il problema di essere o non essere (neomelodici), pensando più a liberare certi stilemi da forme stantìe e da contenuti a volte retrogradi, utilizzandoli invece in chiave originale e coerente. Per esempio mescolandoli al rap, all’elettronica e al rock ("Tu", "A canzone d’o mare"), svolgendoli su beat latini ("A guaglion d’o core", "Nun veco l’ora"), o trap ("Faciste peccato", "Sempe", "Se vive a metà"), sound a cui è arrivato già negli scorsi anni. Non a caso Ivan è stato a lungo il sospettato numero uno nella caccia a Liberato, storia da cui nasce la deliziosa ghost-track eponima, dove sulle note di "Nove maggio" rimanda al mittente le congetture.
In un momento storico in cui sembra che il paese si stia di nuovo accorgendo di cosa viene prodotto all’ombra del Vesuvio, “Ingranaggi” può essere un’ottima occasione di scoprire un lato della Napoli musicale poco raccontato, un lato al passo con i tempi e che guarda con attenzione al pop italiano e internazionale, in modo da essere leggibile da tutti e proiettato abbastanza lontano dal rischio di autoreferenzialità nonostante la forte connotazione culturale. Se c’è qualcosa di ostico in "Ingranaggi" è la tracklist: eterogenea, un pregio ma anche un elemento di confusione; lunga, con alcuni momenti fuori fuoco che lasciare fuori avrebbe giovato alla compattezza del disco. Del resto, si diceva, Ivan è un musicista ancora alla ricerca della sua identità; nelle ruote di questi ingranaggi sembra averne addirittura trovata più d'una, ai prossimi lavori il compito di capire qual è la più matura e promettente.
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La recensione Ingranaggi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-09-05 09:00:00
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