Dopotutto sul quarantunesimo parallelo ci trovate sia Napoli che New York, e noi siamo pure arrivati prima.
“Blu” è il nuovo album di Franco Ricciardi. Per chi non lo conoscesse, è quello che ha vinto il David di Donatello per la colonna sonora di “Song'e Napule” dei Manetti Bros, oppure è l’autore di “A’ storia e Maria", la hit usata sia da Matteo Garrone in “Reality” che da Stefano Sollima in “Gomorra - La Serie”. A mio avviso quel pezzo è stata la vera risposta italiana ai Major Lazer, parecchio prima (e sicuramente meglio) di “Roma Bangkok” di Baby K feat. Giusy Ferreri. Al pari di Diplo, con “A’ storia e Maria” l’accoppiata Ricciardi/Granatino è riuscita a mettere insieme una base grezza e tante sfumature etniche (che i napoletani padroneggiano benissimo) creando un mix di melodia e cattiveria decisamente affascinante. Lì sta la sua cifra stilistica: non abbandona la radice popolare della canzone napoletana ma aggiunge anche elementi nuovi.
Le produzioni vanno nella stessa direzione: se se vi sembreranno fin troppo elementari, in realtà rientrano perfettamente nel suo immaginario sonoro. D-Ross e Star-t-Uffo, che da sempre collaborano con Ricciardi, sono due pesi massimi della produzione in Italia e hanno lavorato con nomi importanti del nostro rap (Guè Pequeno, Marracash, Emis Killa, Clementino, ecc). Qui riescono ad elaborare strumentali molto semplici, capaci di valorizzare le linee melodiche in maniera fresca, ma anche di essere suonate nelle sagre di paese senza far scandalizzare nessuno.
“Blu” si divide tra brani vicini alla tradizione (“Chiammele”, “Ammore senza core”, “So sempe chille”, “Uocchie e na femmena”) e altri più moderni come “Overo”, che sembra prodotto dai Bloody Beetroots, e “N'ata notte”. Quest’ultimo è davvero un piccolo capolavoro che gioca con le atmosfere notturne e i suoni alla Dj Khaled, ogni singola parte è magnificamente a fuoco, è emotivamente forte senza scadere troppo nel patetico. Questo tipo di equilibrio tra suoni freddi e l’anima neomelodica difficilmente viene raggiunto in altri punti del disco, ma non mancano altre tracce particolarmente riuscite come “Nun pazzia co core”, “Primmavera" o ”Si ci staje”.
Come avrete capito, il grande talento di Franco Ricciardi sta nell’inventare melodie potenti. È un mix di pathos e teatralità ma, al tempo stesso, anche di verità, perché Ricciardi trasmette una vicinanza e un’empatia come solo i grandi cantanti pop, in primis americani, riescono a fare. I napoletani, in questo, sono i migliori: “Chiammele” può anche non piacere e sembrare una ballata un po’ tamarra con una chitarra che ricorda il peggior Eros Ramazzotti, ma vi sfido ad arrivare a quel “tutto po’ essere” e non avere l’immagine immediata di un uomo distrutto del dolore; oppure ascoltatevi “Uocchie e na femmena” e capirete che è un piccolo film.
Ci sono anche canzoni veramente brutte: “Jiesce”, ad esempio, con quei suoni alla “Ashes To Ashes” che c’entrano poco sia con la parte cantata che con l’intero album, o “Capisce a Me”, il singolo uscito la scorsa estate, che cavalca male quella sottile linea che divide la musica popolare da quella populista, il tutto su un ritmo reggaeton piuttosto discutibile.
Nell’insieme, però, “Blu” è un buon lavoro, probabilmente uno dei migliori della sua lunghissima discografia. A cinquant'anni suonati, Franco Ricciardi sembra ancora il ragazzino di Scampia con la passione per la musica che mette il cuore in ogni cosa che fa. Il suo talento si accompagna ad una visione molto meno limitata di quanto si potrebbe pensare di un cantante neomelodico e una curiosità inesauribile. È un artista pop nel senso più internazionale del termine. Dopotutto sul quarantunesimo parallelo ci trovate sia Napoli che New York, e noi siamo pure arrivati prima.
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La recensione Blu di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-07-17 00:00:00
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