Cristiano Crisci ci ha abituato a dischi bellissimi, e qui siamo di fronte ad una vera e propria meraviglia, sia dal punto di vista artistico e compositivo che da quello culturale.
Per la realizzazione il produttore fiorentino ha avuto libero accesso alla library del Tropenmuseum di Amsterdam, museo etnografico dedicato alle ex colonie olandesi. Una raccolta incredibile di registrazioni sul campo, iniziata fin dal 1920 da Johann Christian Lamster e Jaap Kunst (noto per aver coniato il termine "etnomusicologia"). Da questo archivio Clap! Clap! ha tirato fuori la maggior parte dei samples che troviamo nelle tracce. Canti e voci evocative, percussioni di conchiglie, tamburi e strumenti tra i più disparati che si fondono in un contesto tribale con un'elettronica raffinata ed elegante. Kick profondi e bassi corposi completano il disco che oltre ad esser una gioia per le orecchie, costringe il corpo a muoversi: impossibile non ballare durante l'ascolto.
In un certo senso, considerando la provenienza dei samples raccolti in Paesi del mondo anche parecchio differenti tra loro dal punto di vista culturale, questo disco, attraverso la naturale predisposizione alla danza, ci ricorda che innanzitutto apparteniamo al genere umano, abbiamo radici comuni che facilmente si uniscono nella musica.
Oltre ad essere un ep dalla forte vocazione musicale, è anche un lavoro interessante e completo dal punto di vista dell'interesse musicologico: per ogni traccia è riportato il Paese e l'anno di registrazione dei samples. Ad esempio quelli di "Jufra's Touch" arrivano da Libia, India, Bali e Suriname, regioni del mondo molto diverse, ma che riescono invece a coesistere in un'unica traccia musicale, un amalgama perfettamente plasmata nelle mani del producer-alchimista. Nel disco si ritrovano le influenze tra le più svariate: jazz, chill, Chicago house, bass music, French touch.
Con "Dig! Delve! Damn!" il produttore toscano è riuscito a rendere l'esotismo non così lontano e gli ha dato il ritmo della metropoli: un ep da ascoltare al mare ma anche in cuffia a Milano, con il sole battente che stordisce, senza viaggiare. Centra il reale, l'ormai inevitabile e benvenuta coesistenza tra suoni e canti che ci appartengono nel profondo. C'è solo da ballarlo fino a svenire.
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