Nina Zilli Modern Art 2017 -

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Nina Zilli gioca con il reggae e l’elettronica da classifica, dando alla luce un album mediocre e che, fatta eccezione per un paio di brani, si farà dimenticare alla svelta.

Dopo le tinte noir di “Frasi&Fumo”, il ritorno di Nina Zilli gioca con i ritmi in levare e l’elettronica da classifica. Sfortunatamente, la cover di “Modern Art” riflette di gran lunga il contenuto dell’album: un lavoro che per la maggior parte dei casi risulta banale e poco autentico. Il simbolo della pace, buttato lì a caso tra una macchia verde e una soluzione grafica di MSNiana memoria, fa grossomodo lo stesso effetto della terzina iniziale del disco.

“Siamo più di una vittoria, la storia e la memoria” - possibilmente ispirato al titolo di un manuale di storia delle medie? - è solo un esempio a caso delle discutibili strofe di questa prima parte dell’album. Poggiando su arrangiamenti indolori, che lasciano intravedere un angolo di Kingston senza mai farci sentire davvero in Giamaica, “Domani arriverà (Modern Art)”, “Ti amo mi uccidi” e “1xUnAttimo” sono canzoni che non lasciano traccia, punto.

Se lo stesso discorso vale anche per la sezione finale del disco, dallo stridente featuring con J-Ax in poi, per intenderci, il cuore di “Modern Art” pulsa tutto nella parte centrale. “Mi hai fatto fare tardi”, nata dalla penna di Tommaso Paradiso, Dario Faini e Calcutta, è l’ennesima hit dell’estate à la Takagi & Ketra che però funziona e allora tanto di cappello. È il singolone spacca-classifiche che trascina l’album, anche se vale la pena ricordare che “orecchiabile” e “di qualità” non vanno necessariamente di pari passo, anzi.

Anche “Notte di luglio” segue una simile scia e dà vita a una canzone che sa come farsi ricordare, nonostante all’inizio sembra quasi di ascoltare l’ennesima pubblicità di Spotify. Il vero brano che però salverei da un album in fin dei conti mediocre è “Il punto in cui tornare”. Qui la voce più soul di Nina Zilli viene finalmente fuori e sembra quasi di sentire la Mannoia cantare su un riff semplice e azzeccato, a ricordarci che spesso bastano pochi elementi per creare l’atmosfera giusta (vedasi il giro di marimba di “Shape Of You” di Ed Sheeran).

Considerando che i tre pezzi appena citati rappresentano appena un quarto del disco, il giudizio generale non può che essere negativo. È un lavoro che scorre con grande fatica e che, con le dovute eccezioni di cui sopra, si farà dimenticare alla svelta. Soprattutto, che cosa c’entra quel “Modern Art” del titolo?

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La recensione Modern Art di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-12-04 00:00:00

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