Una volta James Doheny, parlando dei Radiohead, scrisse qualcosa a cui, intimamente, applaudii: “E’ sempre azzardato usare concetti come facile o difficile, quando si parla di musica. A volte la musica etichettata come ‘difficile’ lo è realmente, più spesso la parola nasconde il timore che nasce dalla non-familiarità, o dalla non-comprensione, con ciò che ci si trova di fronte.” Sposo appieno questo concetto, convinta come sono che la cattura musicale di un’anima avvenga a livelli che prescindono dall’intelligenza razionale, spostandosi piuttosto su quella emotiva.
Così, quando ho ascoltato questo terzo lavoro de Laventunesimafobia, ho sconnesso le mie (presunte) capacità cognitive, gli schemi standard di comprensione, ed ho vagato tra le quattro tracce. Loro, gentilmente e consapevoli che ciò che creano regala un più appropriato sapore di sé quando ascoltato in toto, mi hanno inviato anche i precedenti “Asino Airlines”, “Vite prefabbricate” ed il dvd “Razionale/Irrazionale”, nato come un’intervista per una tv locale e trasformatosi poi in una sorta di presentazione del loro progetto globale. Così la mia recensione, concentrata nello specifico su “Soggetto colto da improvvisa e lancinante manifestazione onirica”, trasuda in realtà di un’impressione più ampia.
Opposti, per scelta dichiarata e dimostrata, ad un’idea di gruppo consuetudinaria, i due musicisti traducono l’idea di musicalità in qualcosa che solo in apparenza è di difficile approccio. O meglio: lo è al pari di quando tentiamo di spiegarci un sogno o un’illusione. Si avvicinano, direi, ad un’esperienza di commistione tra poetico e sonoro, in cui la parola, trasportata dalla bella e vellutata voce femminile, è sempre importante per la sua non banalità. Non a caso, prima del brano “Nuraghe”, si sente un dialogo ripreso dal film Matrix, quello tra Morpheus e Neo. Emblematico quando dice “Che vuol dire reale? Dammi una definizione di reale. Se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello.” Questo è, a mio avviso, il concetto che anima il progetto della 21mafobia. Non cercate la forma-canzone qui: non c’è struttura usuale né durata contenuta o standard, nessuna strofa o ritornello ripetibili e rassicuranti. Tutto si sposta sul fronte della destabilizzazione. Ricordo d’aver provato una sensazione simile la prima volta che mi ritrovai, incuriosita ed ignara, ad ascoltare un “cluster”, agglomerato armonico di suoni contigui, in voga nella musica d’avanguardia della seconda metà del ‘900.
Anche le copertine dei loro lavori rispecchiano questa sorta di alienazione dal reale, non perché esso sia in sé banale o già spremuto, ma per come le persone si ostinano a tradurlo nel loro quotidiano. La 21mafobia offre il punto di vista ulteriore, lo sguardo nuovo oltre il muretto. Ma lì sotto, appena ti sporgi e guardi, non vedi serenità esplose e risposte definitive. Vedi semmai loro due, Hansel e Gretel, che come nella famosa favola, provano a tenersi per mano ed a cercare la strada nel bosco. Senza presunzione però d’indicarla agli altri. I loro lavori vanno considerati come un ciclo che si chiude, dato che tematiche e sonorità si chiamano a distanza, pur con l’intervenuta maturazione compositiva e tecnica che si sente in questo terzo cd.
Rifuggono nei fatti quello che si definisce “commerciale”. Certo, riconosco amore verso Sigur Ròs e Blonde Redhead, approcci alla Radiohead ma sempre accennati, mai scimmiottati, perché non sarebbe possibile. Il groove solletica sospensioni psichedeliche, si veste di distorsioni e loop.
E poi, quando la quarta traccia si è già chiusa ed il silenzio riempie la casse lasciandoti a flussi emotivi come lampi che schiaffeggiano ecco, inattesa, una hidden track in cui è il testo a giocarsela sul resto, in allitterazione costante e provocatoria di “s”. Anche qui la 21mafobia dimostra vivacità creativa, fuga ironica da dettami consueti, figlia di un Palazzeschi che non si diverte solo a giocare con le parole, ma si sbizzarrisce sonoro… e se ne frega di tempi e maniere. E riprendendo una parte del testo di “Pressoché vegetale”: “ora che il mondo è intriso di te” io spero che il tuo viaggio continui, cara la mia 21mafobia.
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La recensione Soggetto colto da improvvisa e lancinante... di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-04-05 00:00:00
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