Come antipasto di un disco imminente, niente male davvero. Te ne accorgi all’istante: i Corni Petar fanno sul serio. Dietro la tecnica e le necessarie intuizioni, una maturità espressiva che indovino figlia di esperienze diverse e anni passati a sbattersi in giro. Un rock pulito, solido. Eppure leggero e mai banale. A tratti, così impeccabile nella struttura da sconfinare in quello che oggi, per giocarci un po’ su, vorrei chiamare hard pop ma tutti ormai definiscono post rock. La componente melodica infatti, non una volta viene persa di vista, correndo su binari ora sostenuti ora più blandi. Poi però ci mette del suo un cantato sofferto, a volte lacerato, e le atmosfere suadenti, notturne, malincoromantiche, acquistano spessore drammatico. Strano a dirsi … le suggestioni son quelle dei Radiohead vecchio stampo che invitano a cena un Francesco Renga (ri)convertito al rock. Pacche, sorrisi, tira e molla, non se ne fa più nulla. Finchè non compare lo spettro benigno di Jeff Buckley, allora sì, la jam session decolla. Questo per dire che ci sono influenze consapevoli, mentre altre possono insinuarsi sotto pelle. Basta conservare un margine di originalità, e statene certi, i Corni Petar ce l’hanno.
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