Dimestichezza compositiva e interessanti intrecci di generi. Buona prova per i Parking Lots!
A distanza di cinque anni dalla pubblicazione del loro EP "Sex of the Submarines", dopo una lenta maturazione, i fiorentini Parking Lots lanciano il loro album d'esordio "Parking Wizards".
Dalla prima traccia, "Big Reaction", si rimane subito affascinati dalla voce di Antonio De Sortis, cantante e chitarrista della band. Una voce calda, profonda e avvolgente. Quello che viene presentato è un lavoro ricco di riferimenti musicali e geografici, che spazia dal dream pop alla Cocteau Twins all'indie rock americano dei Pavement, toccando infine lo psych rock in "Tibet", quarta traccia del disco. Quest'ultimo brano è forse uno dei punti più interessanti dell'intero lavoro e sottolinea, o riconferma, un'attenzione compositiva di non poco conto. Delay e phasing vengono usati sapientemente, i tempi si dilatano e si contraggono repentinamente senza destabilizzare l'ascolto e la voce si tinge di tonalità più acide offrendoci così un'altra faccia della band. Nella canzone che segue "Tibet", "A Night in the Woods", emerge l'amore per le sei corde, che se prima venivano distorte e fatte suonare a colpi di plettro, vengono qui accarezzate preferendo la via di un arpeggio più delicato. Il disco prosegue seguendo un andamento malinconico, avente forse il suo culmine in "Camel Skin", che scema poi fino ad arrivare alla conclusione autocitazionista di "The Story of Parking Lots". Questo brano, costruito su climax sonori ascendenti e discendenti, si rivela un ottimo approdo finale di un percorso musicale mai scontato.
Gli anni di decantazione di questo disco d'esordio hanno quindi dato i loro frutti, mettendo in luce l'impegno e le buone capacità musicali dei Parking Lots.
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La recensione Parking Wizards di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-07-22 00:00:00
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