È passato solo un anno dal precedente “La giusta distanza”, ma sembra che i Giorgieness con “Siamo tutti stanchi” abbiano percorso chilometri. Il nucleo intorno a cui si muove tutto è sempre Giorgia d’Eraclea, voce, anima e autrice dei testi della band. Rispetto al disco precedente, almeno nelle sonorità, c’è molto meno rumore e tanta melodia, da cui emerge più forte e molto più chiara la voce, elemento indispensabile per mettere l’accento sui testi, rigorosamente in italiano, impregnati di vita quotidiana. La combinazione tra la cura delle parole che trascina verso il cantautorato e sonorità di un rock melodico, con vaghi sentori sintetici (“Avete tutti ragione”, “Dimmi dimmi dimmi”) appare in perfetto equilibrio. Ogni elemento ha il suo spazio e lo domina con forza e personalità.
Il cambiamento è evidente, anche se non radicale: rimane la stessa naturalezza e la stessa incisività nel dire le cose, cambia la forma. È la maturità di affrontare problemi, limiti e difetti, accettarli e conviverci quando non si possono risolvere, o sputarli fuori quando si può.
Tocca a “Vecchi”, quarto brano dell’album, esplicitare il senso del disco (“Siamo tutti stanchi, siamo vecchi e siamo stupidi”), che parla di una stanchezza non solo fisica, ma soprattutto mentale, una stanchezza che sconfina nell’inerzia e nell’apatia, che annichilisce corpo e anima fino a portarli alla resa. Se questo è il vero problema, la successiva “Essere te” ne è la soluzione: è il male pratico, o il male migliore di “Avete tutti ragione”, quello che si deve assaporare per poterlo superare. E “permettiti di essere umana, concediti di aver sbagliato strada” (“Umana”), ché l’errore qui non è più qualcosa di irrisolvibile, ma anzi è una tappa necessaria a rialzarsi.
Così “Calamite” è la consapevolezza dei propri errori, di un rapporto logorante da cui non si riesce a uscire. E “sia maledetta la sera quando rimango da sola corro da te ancora, non sono forte ancora”. Ma la consapevolezza è il primo passo per poter andare avanti, la forza viene col tempo e la perseveranza. “Che cosa resta”, invece, è il vero capolavoro dell’album: un sonoro vaffanculo che risuona col ghigno di un’ironica risata e che parla della fine di una convivenza, di gattini che ci finiscono in mezzo e di taglie di magliette troppo strette: è rabbiosa, ironica e reale contemporaneamente: “ma già la vedo che entra in casa, che dorme nelle mie lenzuola, si fa le sue foto di merda con quella faccia lì da stronza”. Poi c’è “Dimmi dimmi dimmi” che, con i ritmi di una ballata soprendentemente melodica, rappresenta gli opposti che convivono in modo bipolare in ogni persona, l’alternanza di luce spenta e luce accesa, di trasporto e delusioni, di odio e di affetto, ché io “ti odio e poi ti faccio le fusa”. E poi “Controllo” è l’immagine di catene messe agli altri e perdita di controllo di sé, sono le discussioni, le accuse, le mani al collo e la violenza ingiustificata di cui si sente troppo spesso parlare, fino a che non ci sorprenderà nemmeno più. Insomma, “Siamo tutti stanchi” è un disco (troppo) breve, ma intensissimo, da divorare mille volte, ché un ascolto solo non basta, e sembra avere sempre qualcos’altro da dire.
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