Con l’album che vi andiamo a presentare, i Livida, dopo cinque anni di “onorate” rotte underground approdano al debutto discografico. E lo fanno con un disco che, realizzato sotto l’egida della Red House Recording, orienta la propria bussola sonora verso un rock vibrante e sanguigno.
Dodici le canzoni proposte, canzoni, alimentate da un vigoroso motore ritmico (basso/chitarra/batteria) e dalle ottime performance vocali del front-man Davis, e che affondano le proprie radici nella scena italiana dei primi anni novanta, riprendendo tematiche compositive vicine a band come Timoria, Karma e Negrita. Il tutto corroborato da discreta originalità rintracciabile, in particolare, in brani come “Questioni di tempo” (striato da intense sfumature grunge), “Creatura perfetta”, “Mantide” (dai penetrati tratti lisergici) e “Trono” ma che in altri episodi fa, tuttavia, difetto. Emblematici, in particolare, i casi di “Lividi e brividi” e “Timidi risvegli”: pezzi nei quali ci leggo gli Afterhoursdi “Voglio una pelle splendida”; e se nel primo caso c’è solo il “Sììì” del ritornello, nel secondo i rimandi lirici sono fin troppo evidenti (“Madre ho peccato. Come non credo? Salva il mio corpo nudo mistero”; “Voglio una stanza piena di sogni[…]Voglio una pensiero senza ritorno”).
Il disco, poi, sorprende per la qualità sonora e per la straordinaria cura delle sfumature: una tendenza alla “perfezione” legata al proporre brani facenti parte del repertorio storico (la metà dei pezzi era già stata proposta un paio di anni fa in un demo), e, presumibilmente, al voler sfruttare al meglio la chance messa a disposizione dalla R.H.R.
Ed è, questo, un atteggiamento che si presta ad una duplice interpretazione: se infatti solletica e non poco la straordinaria resa del cd (in questo avvicinabile al primo album dei Negrita, che, all’epoca ricordo di aver giudicato impeccabile), fa anche pensare ad una spiccata propensione verso lidi sicuri. Considerazione che, dettata anche ad alcuni rimandi troppo diretti ad altri gruppi (degli Afterhours,ad esempio, si è detto) fa pensare una tendenza ad evitare il “rischio” che alla lunga potrebbe trasformarsi in un fastidioso cliché frustrando le ottime qualità tecnico/compositive della band.
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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-04-12 00:00:00
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