I canovacci della psichedelia britannica degli ultimi 40 anni, qua e là ammorbiditi da diversivi più o meno provvidenziali.
Nel definire il baricentro concettuale del loro secondo album gli Antarte vanno ad accodarsi a quella già ben nutrita pletora di artisti che in passato sono ricorsi alla metafora dell’isola per sviscerare le dinamiche esistenziali/relazionali dell’uomo moderno. A parlare per loro otto tracce – battezzate dalla label francese Megaphone – che trasudano trasognante solitudine e smarrimento cosmico utilizzando come lievito madre i canovacci della psichedelia britannica degli ultimi 40 anni (dai Pink Floyd ai Radiohead), strada facendo ammorbiditi da diversivi più o meno provvidenziali.
Da certo indie-rock novantiano (soprattutto nelle impennate della 6 corde) al post-rock più sornione del nuovo millennio, dalle misurate suggestioni ambient ai malinconici alleggerimenti pop, tutto contribuisce a orchestrare una piacevole alternanza umorale di bagliori bluastri e vellutate decongestioni acustiche: ritrovarsi a transitare da talune reminiscenze pinkfloydiane mimetizzate in “Oasi”, “Nessuno” e “Scirocco” alle andature oltremodo intimiste e contemplative de “I tuoi giorni” e “Senza luna” è davvero un attimo; così come svolazzare dalle rifiniture ambientali di “Bolina” al post-rock rassicurante della conclusiva “Buona fortuna”, che mette tanta voglia di riascoltarsi i Gatto Ciliegia Contro Il Grande Freddo. Il tutto, peraltro, nobilitato dalla cura certosina di alcuni dettagli (su tutti la soffusa coda di tromba in dissolvenza che chiude “Scirocco”).
Stilisticamente avvicinabile agli ormai disciolti Underfloor il combo agrigentino dovrebbe solo rimettere mano ai testi (declassati a mero companatico delle musiche) e potenziare le deflagrazioni di alcuni cambi registro per tonificare al meglio la resa immaginifica delle atmosfere portanti.
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La recensione Isole di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-01-02 00:00:00
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