Un disco che cerca la luce mentre rimette in ordine le cose nella penombra, tra strenui lanci shoegaze e atmosfere sapientemente dreamy.
Io non lo so se certi momenti vanno fermati, incapsulati e appesi ad asciugare in uno spazio speciale della memoria: so che gli istanti corrono, si sovrappongono, scivolano via a una velocità sempre maggiore col passare degli anni e, se fosse anche giusto afferrarli, la cosa avanzando, crescendo e invecchiando, diventa più difficile. E allora arriva la musica ad aiutare il ritorno di ricordi in superficie, a sollevare umidi fotogrammi sbiaditi dalla marea montante del passato per incorniciarli brevemente davanti agli occhi, un attimo solo prima di affogare ancora. “Tregua” ha questa capacità: è così aperto eppure intimo, ti lascia concentrare e svanire, distenderti ingarbugliando i pensieri, e così tutto appare né semplice e neppure complesso, ma soltanto magicamente vero.
Un disco che cerca la luce mentre rimette in ordine le cose nella penombra, tra strenui lanci shoegaze e atmosfere sapientemente dreamy, ammiccando a certi eterei ’80 nel tentativo di trovare una qualche forma di pace: mi immagino Daniele Carretti, anima solitaria del progetto Felpa, che realizza i suoi pezzi seduto in casa sognandosi sotto un ghiacciaio, su qualche cima innevata spinta all’estremo nel blu, tra le stesse profondità che si ritrovano nelle sue canzoni. Dall’apertura strumentale di “Svegliarsi”, che si sposa all’altrettanto strumentale chiusura con “Dormire” in una combinazione non solo nei titoli (cosa che sempre accade nei suoi album) ma ancor più simbolica e umorale, passando per le cavalcate scintillanti e bianchissime di “Ancora”, tanto leggera da non posarsi in nessun luogo, e poi “Polare” coi suoi tappeti elettronici e le suadenti speranze amorose, quell’“Ascoltare” che si stende malinconica fino a diventare una sorta di processione new wave. Tutto è l’esatto equilibrio di un sentimento essenziale, è la misura di ciò che serve, la distanza da colmare per trasformare un’assenza in ricerca.
Il terzo disco di Felpa continua il percorso iniziato nel 2013 con “Abbandono”, aggiustando la mira verso obiettivi sottilmente diversi ma con uno stile riconoscibilissimo e amabile: non è così facile trovare un artista esattamente all’interno del suo lavoro, ma in questo caso è così, e la sincerità e la cura e la voglia di Daniele sono il nucleo caldo di questo album che insegue gli inverni, abbraccia i ricordi e ti soprende mentre una materna nostalgia avvolge l’ultimo addio.
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La recensione Tregua di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-02-20 09:00:00
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