Ridondanti, eccessivi, insensati, barocchi, antichi, strampalati, folli. Insomma, talmente spiazzanti che resta solo la forza di spellarsi le mani per applaudirli. E' da molto tempo che possiedo questo piccolo demo, ma nonostante i ripetuti ascolti non ho mai trovato le parole giuste, perchè quella dei Dopolavoro Ferroviario è una comitiva con una creatività inconsueta. Che io sappia, in giro non c'è nulla che gli somigli, perchè nessuno avrebbe il coraggio di proporre questa roba. Immaginate i Queen di fine anni '70 che cacciano Brian May, lo sostituiscono con Frank Zappa e vanno in giro a fare cover di Blood Sweat & Tears. Un revival di finto glam, proggy blues, kitch pop e hard rock da spiaggia.
Questi stralunati baresi stupiscono per la capacità di rimescolare tutti gli stilemi più beceri e banali della storia della musica, catapultandoli in un sontuoso intruglio contemporaneo. Fuori dal tempo, fuori dalle mode, architettano canzoni assurde e pompose, sommergendole di esagerati fraseggi strumentali e cambi repentini di tempo e melodia. Arrangiamenti ricchi che dimostrano l'abilità di musicisti che sanno scrivere una partitura complessa ed elegante senza lasciarsi imbrigliare dai manuali di composizione. Un po' come Elio e le storie tese, da cui riprendono anche una certa attitudine a pasticciare con testi surreali che nascondono tematiche quotidiane: socialismo, agricoltura, lotte di classe, surrealismo, allucinazioni industriali, frustrazioni meridionali. Liriche non sempre convincenti, ma indubbiamente curiose. A completare questo colorato mosaico, una voce che finalmente non sussurra, non sbiascica, non stona, ma canta ricordandosi di avere un diaframma. Un po' Freddie Mercury, un po' Bennato, con enfasi spiccata ma non stucchevole, anche grazie ai tanti coretti da zecchino d'oro che fanno da contorno.
Una band che suona davvero, ma senza prendersi sul serio. Orecchiabili, credibili, ironici e diversi. Nell'era degli indierocker col mal di schiena i Dopolavoro Ferroviario sono probabilmente improponibili. Dio li benedica.
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La recensione Impiegati dell'arte di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-04-17 00:00:00
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