Ci sono alcuni generi o sottogeneri musicali di cui si parla meno di altri, o che non vengono considerati affatto, eppure sono stati importanti e influenti come o addirittura più di altri di cui si parla e spesso straparla. Uno di questi è il paisley underground: un movimento che si considera davvero poco, ma quando si approfondisce un minimo ci si rende conto che molto di quello che ascoltiamo oggi, almeno presso un certo tipo di pubblico, deve qualcosa a chi ha saputo portare la psichedelia al di là degli anni '60 e delle nostalgie fricchettone, integrandola anche con sonorità e generi che la consideravano quasi la loro nemesi, come il punk e la wave. Insomma, è (anche) grazie ai Dream Syndicate se oggi abbiamo i Beach House.
E i Red Lines. Che hanno intitolato così, "Paisley", il loro debutto, dopo i due promettenti ep che ce li avevano fatti conoscere.
Potrebbe essere un omaggio a quell'onda neopsichedelica californiana, oppure no, fatto sta che quello che fanno Marianna Pluda e Simone Apostoli è proprio questo: mescolare sound e attitudini diverse per creare qualcosa di fuori dal tempo, dalle mode e dalle comode classificazioni, un attimo sembrare appena scappati da Woodstock e subito dopo da un garage newyorkese, illuminare i Roxy Music con una lava-lamp, suonare jangle su una navicella spaziale, far jammare gli XX coi Mazzy Star e i 10000 Maniacs con i Can. E farlo seguendo poche ma preziose regole: che tutti i buta (nel caso in cui il riferimento del titolo fosse al design e non alla musica) siano ben disegnati, che i colori, le forme, gli intrecci, tutto, sia in armonia e funzionale alla bellezza delle canzoni. Regole rispettate con rara grazia e notevole scioltezza.
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