Un disco che cerca la luce attraversando il nero della new wave
Zazà è una ballerina cubana di night club invischiata in un traffico di armi, innamorata di Fidel Castro che però tradisce con Pedro. Quando Fidel li scopre, spara quattro colpi di pistola a Zazà, che fugge per mare, si salva anche dall'incontro con un pescecane, e diventa la maitresse di un bordello.
Questa non è la trama di un romanzo di Jorge Amado, questa è la storia di “Maracaibo”. Sì, proprio quella “Maracaibo” dei trenini di capodanno. Quindi non stupiamoci se troviamo una canzone che parla di questa storia, e di una musicista seria condannata a essere ricordata solo per una hit (apparentemente) da villaggio vacanze, nell'album di una band avvezza a esplorare il lato dark degli anni '80: c'è più oscurità intorno a Maracaibo che in tutta la discografia dei Cure.
E quindi come da programmal, se “Promises” (2015) ruotava intorno al tema del difficile ingresso nella vita adulta, "Hold" affronta con un suono più personale e fresco la difficoltà di mantenere viva un’idea di bellezza all’interno di una quotidianità ogni giorno più disillusa”. In tutti i dieci brani di questo nuovo disco dei torinesi We Are Waves l'oscurità e la luce si sfidano e si intrecciano costantemente come succedeva nel tanto amato decennio, fra aperture epiche alla Tears For Fears (“Healing Dance”) e depechemodiani balli elettrogotici ("For All Those Times"), fra i rimuginii degli Smiths (“Fugitives”) e le onde tumultuose degli Echo & The Bunnymen (“Head In The Ocean”), fra gli ultimi Editors (“See The Lights”) e i primi U2 (“Lynn”), per una fuga dalla realtà verso la bellezza, da sognare, leggere (“Lynn” cita la Agota Kristof di “Ieri”), cantare.
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La recensione Hold di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-03-26 09:00:00
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