“Tempus fugit” è un concept-album che declina l’ossessione per il tempo con parole e melodie mai banali, accattivanti e originali: tutto da ascoltare ed assorbire.
Aprire piano una porta per entrare in una stanza buia e silenziosa, dove non ci sono luci né finestre, è un po’ come entrare in un mondo in cui spazio e tempo non esistono. Nel silenzio che sa essere così assordante si sente solo il ticchettio inarrestabile e regolare di un orologio che scandisce i battiti del cuore e i secondi che passano. Mi immagino così l’entrata in “Tempus fugit”, il terzo disco di Maria Devigili, in cui la colta citazione virgiliana non è casuale, ma anzi si fa filo conduttore di tutti i brani e fondamenta di un concept-album che mescola insieme filosofia di vita e originalità stilistica e musicale.
In un’epoca in cui siamo sempre in ritardo, a inseguire impegni, scadenze e appuntamenti, in cui un giorno insegue l’altro e d’un tratto ci si sveglia ed è già passato un altro anno, “Arcaico futuro” apre “Tempus fugit” come un pugno in pancia, pesante e ingombrante. È l’ossimoro dell’esistenza umana, a dispetto di una melodia accattivante. È la nostra ossessione di guardare sempre al futuro senza accorgerci che nel frattempo è il presente che ci sta scivolando tra le dita. È una battaglia persa, quella contro il tempo (“e inseguirai quello che fugge e che mai prenderai”), perché quello passa sempre senza aspettare: tentare di afferrarlo e dominarlo è un presupposto sbagliato. Allora tutta l’attenzione si dovrebbe concentrare sul presente, l’unica dimensione che possiamo vivere davvero: questo è il messaggio di “Memorandum”, un post-it da attaccare sul frigorifero in cucina che canta - con uno stile che ricorda da vicino quello di Meg - quello che dovremmo avere sempre in mente: “ricordati di te perché sei in questo mondo qui ed ora”; lo stesso che emerge nella più esplicita “Il presente”, dove Maria impugna l’ukulele e recita come un mantra una profezia martellante: “il tempo fugge sempre, il tempo è il presente”.
Seguendo questa scia, la title-track “Tempus fugit” si fa sintesi centrale e imprescindibile del pensiero di tutto il disco: è l’inutilità della nostra rincorsa al tempo, ché siamo sempre in ritardo anche su quello, e la consapevolezza che “sempre il tempo sfuggirà se lo si rincorrerà”.
Se visto così il percorso disegnato dalla Devigili potrebbe sembrare una strada senza uscita, in realtà svela sentieri laterali che potrebbero comunque condurre a destinazione: così “Ho visto” è fantasticheria allo stato puro che colora i contorni di un universo onirico – e si sa che nei sogni il tempo è un concetto relativo – ricco di immagini in continua metamorfosi: alberi che diventano aerei, nuvole trasformate in oceani, granelli di polvere che si fanno pianeti e lampioni come satelliti. “Senza tempo” è la magia di un mondo in cui il tempo non esiste più e dove quindi tutto è eterno, dove possiamo riempirci di nulla, immergerci in noi stessi, nelle cose più preziose. “Inconsapevoli” e “Superstiti”, poi, sono la vita stessa, che ci avvicina e ci allontana dalla bellezza, ci fa passare attraverso strade buie, ma poi alla fine “inconsapevoli ci ritroviamo” e siamo gli unici “superstiti”, noi che non ci lasciamo divorare dalla lotta contro il tempo e dagli inconvenienti, convinti che “la fine di un mondo non è la fine di tutto”.
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La recensione Tempus Fugit di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-03-15 09:00:00
COMMENTI (2)
:)
Una recensione che rende il giusto merito a questo disco...