Un album “Savana” che trasforma chi lo ascolta e che, una volta concluso, ti fa sentire diverso.
A volte mi stupisco, come un bambino, di quanto sia possibile comunicare con l’arte, in qualunque forma essa si manifesti. Quanti lamentano che la musica dei nostri anni, ad esempio, non abbia niente da dire e che tutto sia la copia, della copia, della copia dei Beatles ne hanno, evidentemente, ascoltato tanta. Il Re Tarantola, autore della considerazione sui Beatles, non ha tutti i torti. Difficile in certi contesti o generi trovare argomenti per dargli torto. La cosa divertente però – e forse anche vagamente morbosa, nel mio caso – è cercare di mantenere la mente sempre aperta e quindi ascoltare più possibile cose nuove. Facendo in tal modo non ci vuole poi molto ad accorgersi che qualcosa di originale, spesso, in realtà c’è.
Gli Younger and Better ad esempio, dopo diversi ep (assaggi, ma nemmeno tanto) forti di un mood e una evidente propensione alla trasparenza d’intenti, si lasciano andare questa volta in un album, atteso, che ce li mostra ancora una volta per ciò che sono: una band promettente con le idee molto chiare.
Pensare a Battles, ricordare la voce di Billy Corgan o buttarsi in una nostalgica rievocazione di certe belle cose dei live dei Radiohead sarebbe fin troppo facile e anche triste. Sarebbe ridurre un lavoro come “Savana” a puro esercizio di stile, nella ricerca fine a se stessa degli ascolti che, nel tempo, potrebbero averlo ispirato.
La traccia che apre il disco, omonima dell’album, nel suo loop serrato, è ammaliante e quasi ipnotica. “Track 3” trasporta all’istante in uno scenario underground, un po’ lugubre, di un futuro distopico. Brividi che senti venir su direttamente dal sottosuolo, in una traccia che potrebbe essere tranquillamente la colonna sonora di un romanzo o film come “La strada”. Calma apparente i due brani che seguono “El bananon” e “Baobab”, di un sound elettronico puro, dall’aspetto sperimentale, eppur figli di una semplicità disarmante. Il flusso continua, selvaggio e inquieto, sfiorando sonorità sensuali alla Moderat come in “Draw” che catturano senza tregua. Mentre si ascolta accade, prima o poi, di accorgersi di essere stati catturati da un qualcosa che non ti permette controllo. “Transpired” e “All you need” scivolano come neve sciolta dentro il tepore di un assetto ritmico solido, che arriva quasi a stordire e che mi ricorda certe perle dei 65daysofstatic. “Hyena teeth” è la pace armata, salda nei suoi riff a spirale. “Save you, save them” dai colori opachi che accennano ad accendersi e sfumano nell’ultima “Track 21 (ghost)”.
Un album “Savana” che trasforma chi lo ascolta e che, una volta concluso, ti fa sentire diverso. Forse semplicemente più cosciente di te stesso e quindi, per questo, forse appena un poco anche migliore.
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La recensione Savana di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-03-01 00:00:00
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