Cattivo esempio di disco t-rap. Stereotipi e clichet senza alcun impegno nella composizione dei brani
Se doveste registrare un disco di musica rap come lo fareste? Per le basi magari beat lenti e bassi pulsanti? E per i testi? Qualche frase spaccona o le stesse parole ripetute all'infinito? E per la voce? Auto-tune a pioggia ovviamente.
Ecco, questo disco dal titolo "Flex in studio" è un chiaro esempio di come da tutte le caratteristiche sopra citate si riesca a prendere la parte più sterotipata e conformista. Wow è il nome del collettivo toscano (ovvero i rapper J-$o$a e Hermano e il produttore Morph) che, come scritto il biografia ha "rilasciato" l'opera.
Difficile davvero trovare qualcosa di positivo in questo disco, il rifarsi alla new generation dei rapper italiani come Sfera Ebbasta, Tedua, Rkomi, Laioung e gli altri è il primo degli agenti scatenanti la dilagante banalità contenuta in "Flex in studio". Sono chiare le tematiche: auto potenti dal nome altisonante, esaltazione dell'ego, epiteti poco eleganti verso il sesso femminile, lusso, vips e droghe più o meno pesanti sono il pane quotidiano per il rapper medio che anche se queste cose non le vive, le desidera e ce le fornisce come punto di forza, gli Wow però non hanno altri argomenti per alternare questa smania di retorica da gang e finiscono per essere macchietta di loro stessi.
Nulla è proibito in un testo rap, data la sfrontatezza e le licenze concesse nel linguaggio da strada, ma un'infilata di 12 "Chiaraferragni" consecutivi nel pezzo "Chiara F€rragny" (brano in cui si dubita dell'utilità sociale del figlio di Chiara Ferragni e Fedez) è qualcosa di molto vicino allo stile di Bello Figo Gu. Anche il tema della mamma così caro a Ghali, viene impoverito in "Casino Rosa", brano in cui tra l'altro si possono ascoltare controvoci fuori tempo e stonate come poche, nonostante l'utilizzo dell'auto-tune.
Già, l'auto-tune, questa diavoleria che si pensi possa trasformare chiunque in un cantante professionista, in "Flex in studio" viene abusato e addirittura sconfitto, perché le stonature sono evidenti in molte canzoni, al netto della creatività e dell'approccio alternativo alla melodia. L'auto-tune nasce per correggere le imperfezioni di chi già sa cantare o quantomeno si avvicina all'intonazione, per usarlo nei virtuosismi poi bisogna addirittura saper cantare. Non è il caso né di J-$o$a né di Hermano.
Nelle basi di "Flex in studio" si trovano gli elementi tipici della trap (tranne in "Numeri Uno" dove compare una chitarra acustica anche piacevole): ritmiche rallentate e bassi modulati, qualche suono di synth, ma nulla di davvero appetibile. Nota di demerito ulteriore per chi fa musica nel 2018: la traccia 3 "A-Migos" sfuma.
Qualche barlume di tecnica e flow si sente in questo disco, mancano però totalmente i contenuti, il gusto, e l'originalità in qualunque forma la si voglia inserire, non fa mai male uscire da quelli che si credono schemi già ribaltati. Ogni tanto un po' di vecchia scuola porta consiglio.
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La recensione Flex In Studio di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-04-04 00:00:00
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