Un diorama è un'ambientazione in scala ridotta, una miniatura di qualcosa che esiste davvero, un simulacro finzionale. L'etimologia, greca, vuol dire letteralmente "vista attraverso" e pare sia Louis Daguerre (lo stesso ad aver inventato il dagherrotipo, appunto, una prima forma di fotografia) il suo inventore più accreditato. Oggetto della ricerca di Daguerre è sicuramente allora la realtà, ma non soltanto: imparare a simularla, a riprodurla, a fingerla. Kabo ci presenta allora un testo (certamente nel senso più esteso del termine) che si approccia al lettore ricordandogli come quello di cui sta fruendo è qualcosa che può ambire, al massimo, alla verosimiglianza. Questo profondo distacco dunque tra realtà e opera viene inseguita per l'intero progetto, dai nomi fatti nelle strofe di "Diorami" agli argomenti trattati: tutti fortemente privati, intimi.
Prodotto in collaborazione con Berkana, "Diorami" non suona affatto come un disco rap: certo, ci sono le rime e le contaminazioni (neanche troppo velate) di un certo tipo di trip hop nelle batterie, ma poi sono gli archi e soprattutto le chitarre ad essere veri protagonisti delle produzioni. Nessun campione, soltanto arrangiamenti originali, per un disco e una penna che padroneggiano anche molto bene gli stilemi del rap ma si spingono ben oltre il limes che divide questo genere dal cantautorato. Una commistione che funziona.
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