Con il secondo lavoro targato Bruno Belissimo, il producer italo-canadese ci accompagna a bordo di una DeLorean in un viaggio alla riscoperta della italo-disco.
Ascoltare “Ghetto Falsetto” in una giornata qualsiasi di luglio, a parte che aiuta a combattere la calura di rito a colpi di un sound oltre i limiti immaginabili della freschezza, ci regala un'ulteriore conferma sulla questione della superiorità indiscussa del basso (e la scienza conferma). Con il secondo lavoro targato Bruno Belissimo, il producer italo-canadese ci accompagna a bordo di una DeLorean in un viaggio alla riscoperta della italo-disco. La macchina in questione, che chiama in causa anche Todd Terje, una delle influenze principali del disco, calza a pennello con l’idea di base dell’album: una ricerca sonora che sa di ritorno al futuro piuttosto che di nostalgico tuffo nel passato.
Se allora in “Ghetto Falsetto” Bruno Belissimo attinge senza paura da uno dei momenti storicamente più rilevanti per la musica italiana, soprattutto da una prospettiva internazionale, è per rileggere il tutto da un punto di vista personale, con l’intenzione di dare un giusto seguito al genere, più che riproporlo in maniera passiva. Al centro della “belissima” formula adottata da Bruno c’è un approccio ironico e spensierato, perfettamente in linea con l’universo a cui fa riferimento. E se l’automobile distrutta, nella foto di Matteo Tres Bones in copertina, sembra quasi trattare con autoironia il tentativo dell’artista di viaggiare nel tempo per riportare in auge il genere, la verità è che “Ghetto Falsetto” centra l’obiettivo in pieno, colorando l’italo-disco con dei toni spaziali e mescolando il tutto con un mix di percussioni tropicali.
Il basso, continuo e pompatissimo, di “Tempi Moderni” ci porta direttamente al centro della questione, lasciando il compito di rinfrescare l’aria alle chitarre funky. Come se non bastasse, gli schiaffoni che arrivano dalle basse frequenze di “Ghetto Falsetto” risvegliano anche gli ascoltatori più pigri dal torpore estivo, mentre il titolo del brano, ripetuto come un mantra, diventa anch’esso strumento musicale. Con “La Pampa Austral” subentra nel disco la latinità e una certa dose di ritmi e slappate che sarà difficile scrollarsi di dosso. Il vero capolavoro è però “Boloña Baleàrica”, il suono del paraíso di Bruno Belissimo, dove Bologna si trasforma in Palma di Maiorca e tutti gli elementi topici del disco sembrano trovare l’allineamento perfetto: il giro di basso è martellante quanto basta, ma morbido e suadente, le percussioni danno alla traccia un meraviglioso tocco esotico e i fiati sistemano con cura la ciliegina sulla torta. La ascolti e ti ritrovi all’improvviso in vacanza, con la camicia a fiori, in un dj set in un giardino pensile di un bar. Diventerà un classico, se non lo è già.
Non che dopo l’interludio dell’”Equatore” il divertimento si esaurisca, anzi. Ci pensa “Horror Tropical” a tenere in vita la festa e a far ballare anche i non morti, mentre Bruno Belissimo, con un piede nei 70s e uno negli 80s, si diletta a fondere l’universo della disco con le colonne sonore degli horror movies di culto, di cui è grande fan. Alla parentesi più freak e multiculturale di “Urlo libero” e “Grattis Bruno”, segue poi il brano più pop dell’album nonché l’unica traccia cantata del disco: “Soft Porn” in featuring con Foxy Galore. “Ghetto Falsetto”, però, non poteva che concludersi con un pizzico di ironia: “don’t bother with hardware/non suona male il digitale” è lo slogan che il producer ci ripete prima di salutarci, un invito leggero e tanta voglia di prendersi meno sul serio. D’altronde, se Bruno Belissimo ha prodotto l’album in questione in un mese, dopo aver perso una serie di brani già pronti a causa di un furto del pc, perché dovresti preoccuparti proprio tu che sei quasi in ferie?
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La recensione Ghetto Falsetto di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-07-20 09:00:00
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