Claudio Domestico, in arti Gnut, è una personalità più caratteristiche e raffinate della massiccia ondata di cantautorato partenopeo degli ultimi anni, ondata di cui fa parte a pieno titolo ma da cui si è sempre distinto, non tanto per una voce inconfondibile e un fingerpicking elaborato, ma per una poetica intima e personale che non ha mai indugiato nelle oleografie e celebrazioni della napoletanità, pur utilizzando ormai da un po’ quasi esclusivamente la lingua partenoepa. Non è un caso se il nome di Gnut è uno dei nomi campani che ha girato di più l’Italia negli ultimi anni, soprattutto con l’album del 2009 ‘Il rumore della luce’, prodotto dall’eclettico polistrumentista anglo italiano Piers Faccini. Lo stesso Faccini ha da poco ha dato alle stampe per la sua etichetta Beating Drum anche l’ultimo EP di Gnut, ‘Hear My Voice’. Più precisamente ‘Hear My Voice #1’, prima uscita di una collezione di EP, stampati su vinile da 12’’, che Beating Drum dedica a songrwriter di provenienza geografica e musicale eterogenea. Un format interessante che per Gnut rappresenta la possibilità di essere distribuito per la prima volta in Francia e Inghilterra e che il cantautore sceglie di attraversare insieme ad Alessio Sollo, frontman dei Thecollettivo, sodale nei Fratelli della Costa di Daniele Sepe, e soprattutto poeta dalla produzione copiosa che qui figura nel ruolo di paroliere. Non è la prima volta che i versi di Sollo vengono musicati da Domestico: “L’ammore ‘o vero”, un piccolo gioiello di dolcezza già presente in Capitan Capitone e i Fratelli della costa che era diventata una sorta di instant classic locale e che qui è riedita in un arrangiamento differente.
Protagoniste dell’EP sono quattro canzoni d’amore, rigorosamente senza il verbo ‘amare’, che in napoletano non esiste e viene sostituito perifrasi e metafore: puoi dire ti amo o qualcosa di simile, ma puoi dire anche ‘chist ammore è carne annura’ ,’questo amore è carne nuda’. Poesia che diventano brani dai toni agrodolci, in cui è ovviamente forte l’impronta della canzone napoletana, quella classica e quella più moderna e già sporcata di musica nera: linee di mandolino si intrecciando con le sonorità del folk anglosassone in architetture blues (‘Na jurnata e’sole’), con cori spiritual e fraseggi di resofonica che richiamano i colori di quella musica africana, ascendente blues del Mali, di cui da qualche tempo si è visto una gradita comparsa anche nei lavori di alcuni cantautori italiani (‘Nu peccato’). A fare da ponte fra le diverse anime dell’EP c’è Claudio, con un timbro e una vocalità da subito inconfondibile. ‘Hear my voice #1’ non è un lavoro che sposta di molto l’asticella della produzione di Claudio Domestico, che del resto già da tempo si è disegnato addosso un’identità forte e riconoscibile, ma presenta il suo songwriting in una forma smagliante. Seppure per una manciata di minuti, lo vediamo giocare con influenze diverse, con arrangiamenti ricchi di colore e una produzione ottima che ci fa sperare in qualcosa di simile per una prova su distanza più lunga, che da qualche anno manca dalla discografia di Gnut.
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