Gli Starfuckers sono stati di certo uno dei più importanti gruppi rock italiani, per lo meno sul fronte avanguardista e sperimentale. Dopo oltre 15 anni dagli esordi, Roberto Bertacchini, Manuele Giannini e Alessandro Bocci proseguono la loro encomiabile carriera prendendo il nome dal disco del 1994 ("Sinistri"), ma continuando il discorso iniziato con l'ultimo "Infinitive Sessions" (2002). Si tratta di un discorso i cui argomenti affondano decisamente nel funk e nel jazz e nel blues, ma vengono elaborati in direzione elettronica e sperimentale. A questo proposito va segnalato l'encomiabile lavoro di Dino Bramanti, quarto membro del gruppo e principale artefice della scomposizione cubista che domina tutto il disco.
Sul lettore compaiono dieci tracce, ma si tratta nei fatti di un unico e monolitico continuum sonoro, una coltre di suoni inconcludenti che si prolungano ad oltranza. Il primo brano, "Smooth Fried Tk2", funge da manifesto programmatico: il gruppo si esibisce in una sorta di improvvisazione funk/jazz che però viene martoriata da sistematiche ellissi sonore, fessure di silenzio che producono un effetto assolutamente zoppicante. Detto in altri termini, sembra di ascoltare un cd difettoso nel quale il lettore avanza a scatti. Per dirla tutta, se io fossi un negoziante e un cliente mi riportasse questo disco credendolo difettoso, farei fatica a dimostrare che l'effetto è voluto [chissà, magari la copia che mi hanno mandato da recensire è veramente difettosa…]
"Free pulse" è comunque un'opera che va ascoltata nella sua interezza o, se mi è concesso un riferimento colto, "non" va ascoltata, ma piuttosto "sentita" secondo i dettami del maestro Eno. In ogni caso, chi volesse intraprendere un'opera filologica e approfondire l'ascolto alla ricerca di influenze e particolarità stilistiche si accorgerebbe comunque di un ampio spettro di riferimenti. Si va dal puro funk ("Bluesplex Pt. 1"), a fraseggi in stile blues psichedelico ("Holes In Between"), da inserti di elettronica pura ("Red Angular Feelin'"), alla voce recitata/sussurrata di "Ampstone".
In generale, su tutto aleggia lo spirito di John Cage, mentre il riferimento più manifesto, in termini esclusivamente formali è quello della glitch-music. In un certo senso i Sinistri elaborano una sorta di glitch analogico, una contraddizione in termini per definire una musica che, pur facendo propri gli stilemi del glitch (montaggi sonori di clicks, intermittenze, disturbi elettronici…) viene suonata con strumenti tradizionali (chitarra basso e batteria) facendo riferimento a stili tradizionali. Uno stile tutto da esplorare che potrebbe dare adito a notevoli risultati o, perlomeno, fornire una via di fuga a tanti jazzisti in crisi di ispirazione.
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La recensione Free pulse di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-05-14 00:00:00
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