A quattro anni dal debutto con "Asteroidi", Àlia esce con "Giraffe", suo secondo album, che vede l'ottima produzione artistica di Paolo Favati e Marco Lega. Che "Giraffe" sia un album ambizioso si intuisce dalla sfida in cui si è imbarcato Àlia, cioè quella di "trattare argomenti spirituali con lievità, lontano da ogni propensione dottrinaria ma straordinariamente vicino ad una dimensione umana individuale e universale". Ovviamente il rischio che gli argomenti siano banalizzati è altissimo, rischio che, nel pop italiano, Battiato (il Battiato dagli anni '80 in su) ha decisamente evitato grazie a una scrittura davvero innovativa, elemento questo che non è sempre presente nei testi di Àlia.
Veniamo alle canzoni. "Giraffe" si apre con "L'attraverso", una canzone che canta la fragilità della condizione umana ("siamo in trappola, sempre in cerca di una risposta un credo, una verità, e siamo fatti per andare via"), e la necessità a non schivare questa condizione, ma a comprenderla serenamente. Comprensione che, per Àlia, si può raggiungere attraverso la spiritualità, così viene cantato nella successiva "Giraffe". Con "La teoria del colore" si chiude una ipotetica triade sulla condizione esistenziale dell'uomo. In questa canzone il protagonista accetta la morte, il cui colore non può che essere il nero, come elemento radicato nella vita: "Per quanto il nero sfili, non sarai mai invisibile, sei il difetto che non si può nascondere, pretendi di star bene su tutti [...]. Ma io che ho gli occhi blu e conosco la teoria del colore, ora ti so abbinare". "Camaiore" è una ballad sull'assenza di una persona amata. Il testo, però, non colpisce per novità: "Sei ferma nell'aria né troppo vicina né troppo distante, ondeggi nel vento, tu vuoi restare ed io anche, e vedi bambini con gli aquiloni, ridono".
"Alessandra" è invece una canzone sicuramente più interessante della precedente, in cui l'amore è paragonato a un ordigno esplosivo rinvenuto sotto i fiori di un'aiuola in mezzo alla città. “L’India, i bambini” è una reazione alla società liquida contemporanea in cui niente è nella sua posizione originaria, ma è costantemente in movimento: “Riposizioniamo la guerra, riposizioniamo l'estate, riposizioniamo la paura di invecchiare, riposizioniamolo le cascate, riposizioniamo il bisogno, riposizioniamo l'ingegno, riposizioniamo il futuro della gente". “Madonna dell'Umiltà” è dedicata alla folk-singer Judee Sill, morta giovanissima di overdose di droga (“Sai, non è cambiato dacché suonavi, io ti direi la gente è confusa, troppo piena e fa rumore, e a modo suo si droga, ma noi restiamo qui fra le pareti spoglie e il respiro circolare, come è accaduto di farsi tanto male?”). "Sei donne" ha come centro di gravità l'importanza del dialogo tra culture differenti. Queste donne straniere, infatti, hanno "nei loro capelli sintassi di sei continenti" e "un'energia di parole nella furia dei denti". "Monviso" parla del rapporto tra padre e figlio. Àlia non lo esplora in maniera originale, ma si avvale della metafora un po' scontata della montagna e dell'acqua: "Io sono la montagna, tu sei sempre in guerra, veniamo dalla stessa terra che trema, tu sei il rigo d'acqua a capo dell'Italia, io la cima straordinaria un monte. Ti ho visto crescere superare le distanze, poi finire dentro il lago grande e diventare niente". L'album si chiude con una bella canzone, forse la migliore dell'album, "Verso Santiago", in cui il protagonista abbandona tutto ("Voglio partire, dimenticare te che non hai meriti, che non mi meriti") e, come uno dei tanti personaggi di Paolo Conte, cerca se stesso in mondi lontani e spera là di trovare la pace, e starsene "come un bambino che si perde al cinema o dentro ai gonfiabili e non ha alcun timore".
Se oggi, nel panorama pop musicale italiano più recente, va per la maggiore la scrittura di Tommaso Paradiso e di Calcutta, Àlia è decisamente controcorrente, perché si rifà, nelle linee melodiche, ad autori pop degli anni '90 e dei primi anni '00 (penso per esempio a Mango, a Mario Venuti, e in certe canzoni anche a Carmen Consoli e a Cesare Cremonini). Questo sua controtendenza non lo penalizza, rendendo magari il suo prodotto fuori moda, perché "Giraffe" è un album che non richiede all'ascoltatore un particolare sforzo, le canzoni sono semplici e, allo stesso tempo, non troppo banali. L'arrangiamento, ottimo sia come scelte timbriche che come cura dei suoni, lo valorizza notevolmente.
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