Marco Foscari è romano d’adozione ma viene dalla provincia di Salerno, Cava de’Tirreni, nel cuore della Campania tra terra e mare. Forse è guardando le prime creste della Costiera Amalfitana e il mare che ha imparato l’arte della contemplazione e dell’osservazione delle piccole cose che compongono quelle grandi; trapiantato nel contesto urbano, il suo diventa uno sguardo acuto sulle debolezze umane, sulle lotte che si nascondono dietro visi stanchi (Incline al canto), sulla ricerca di certezze nell’instabilità di questa umanità liquida e sfilacciata, fra sindromi di Stendhal (Stendhal), lavori e amori precari. Per raccontare le sue storie, Foscari sceglie un registro agrodolce, sottilmente ma diffusamente malinconico, con uno sguardo al cantautorato indie degli anni 2000 ma anche, in parte, a quello in quota it-pop degli ultimi anni (Giorno). Più che altro, Foscari ha una buona sensibilità melodica e pop, oltre ad un gusto per arrangiamenti abbastanza vivaci, ricchi di chitarre elettriche e con qualche moderato accenno di anni ‘80 (Particelle), così che le 9 tracce dell’album scorrono lisce tra pezzi più trascinanti (Incline al canto) e momenti più introspettivi (Te lo confesso), con un leggero picco di qualità verso la fine.
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